I sindacati iniziano a lavorare intorno a alla Ocv e, una delle prime note diramante è quella dei Cub che riportiamo nella sua completezza.
ANCHE L’OCV DI VADO LIGURE CONDANNATA ALLA CHIUSURA
COM’È LONTANO L’ESEMPIO DELL’APE E DI UN SINDACATO ANCORA IN GRADO DI CHIEDERE ED OTTENERE UNA RICONVERSIONE PRODUTTIVA.
Nel 1976, dopo anni di occupazione dello stabilimento APE di Vado Ligure, la lotta dei lavoratori – che aveva trovato la solidarietà del territorio – consentiva la riconversione di uno stabilimento di fertilizzanti per l’agricoltura in un altro che avrebbe prodotto, per oltre trent’anni, fibre di vetro e prodotti semilavorati a base vetrosa.
In campo operaio in quegli anni l’ignoranza la faceva da padrona, le maestranze erano composte per la maggior parte da operai che avevano si e no la terza media ed i sindacati erano spesso diretti da lavoratori con gli stessi titoli, ma la loro coscienza era invece elevatissima, e sapevano che essendo i produttori della ricchezza sociale non era giusto che la loro sacrosanta esigenza di sopravvivere lavorando, per mantenere se stessi e la propria famiglia, venisse sacrificata sull’altare del massimo profitto.
I lavoratori dell’APE nel 1972 occupavano pertanto lo stabilimento, ben decisi a non recedere fino a quando non fosse stato garantito loro un nuovo posto di lavoro, e dopo più di tre anni ottenevano finalmente l’agognato risultato con l’apertura della Vitrofil da parte della Montedison, in seguito trasformata in Vetrotex dalla Saint-Gobain, quindi venduta agli americani della OCV e da stamane in procinto di chiudere.
Come siamo lontani da quelle logiche e da quelle capacità.
Oggi, di fronte ad un governo che si impegna in modo forsennato ad inventare ogni giorno nuove misure che impoveriscono i lavoratori, finalizzate a reperire palate di miliardi da far finire nelle casseforti virtuali della banche, per poi rimanervi mesi o anni ad ammuffire o per foraggiare investimenti nei paesi dove il costo del lavoro è irrisorio e le tutele ambientali una barzelletta, la risposta sindacale consiste in tre ore di sciopero nazionale e qualche manifestazione davanti alla Prefettura o alla Provincia (se è amministrata dalla controparte politica), facendo però attenzione che se ci sono gli operai di una fabbrica quelli delle altre siano ben lontani.
Eppure ad una analisi appena poco più che superficiale, non dovrebbe essere difficile vedere che
- a politica di impoverimento della popolazione non farà altro che amplificare la crisi (di sovrapproduzione e di salari talmente bassi da non consentire più di acquistare gli stessi prodotti che escono dalle fabbriche);
- la ricerca di un qualche capitalista illuminato disposto a investire qui e su produzioni delle quali il mercato è saturo è illusoria;
- le istituzioni, così brave a vendere ai propri amici per 4 soldi i beni dello stato e gli stabilimenti dismessi, così da consentire speculazioni edilizie da capogiro, avrebbero anche il compito di affrontare i problemi sociali e dar loro soluzione, primo fra tutti l’esigenza di milioni di persone di campare vivendo del proprio lavoro.
Lottare per il proprio posto di lavoro ha quindi un senso ed una prospettiva solo se inserita in un progetto che sconvolga ed inverta la politica di governo e CONFINDUSTRIA, nella quale il diritto ad lavoro stabile e sicuro sia prioritario rispetto a qualsiasi altro interesse privato e la battaglia venga condotta non singolarmente azienda per azienda ma in una vertenza generale e collettiva anticapitalista, così come paesi più deboli di noi ma politicamente molto più avanzati, come ad esempio la Grecia, ci stanno insegnando.
CONTRO LA CHIUSURA DELLE FABBRICHE, LE DELOCALIZZAZIONI, I PIANI MARCHIONNE E LE MANOVRE ANTIPOPOLARI DEL GOVERNO MONTI COSTRUIAMO IL COORDINAMENTO DEI LAVORATORI DELLE AZIENDE IN CRISI E PROMUOVIAMO UNO SCIOPERO GENERALE AUTORGANIZZATO.