Commissariato di Villa Opicina: lo strano caso di Alina e dell’ufficio epurazioni. Se fosse ideologia?
Trieste, al Commissariato di Villa Opicina è morta una ragazza, forse un suicidio dicono.
Trieste, al Commissariato di Villa Opicina, c’è l’ufficio epurazione…
Ora invece si scopre che per la morte di Alina ci potrebbero esserci altri indagati. Alina Bonar Diachuk, di 32 anni, cittadina ucraina, muore al Commissariato il 16 aprile scorso togliendosi la vita in una stanza nel Commissariato di Villa Opicina, una frazione di Trieste.
Per la morte di Alina, n indagato c’e’ gia’, ed e’ Carlo Baffi, responsabile dell’Ufficio immigrazione, ma le indagini proseguono e potrebbero allargarsi. Baffi per altro ha alcune indagini aperte.
Il capo della Procura di Trieste, Michele Dalla Costa, parlando della vicenda con l’ADNKRONOS afferma che ”Ci sono altre persone sulle quali si e’ appuntata l’attenzione della Procura”. In altre parole, tutto fa pensare che non possa essere imputata solo a Baffi la responsabilita’ di quanto avvenuto.
Alina si e’ tolta la vita usando il cordino della felpa, quando era trattenuta, pare senza nessun titolo, nel Commissariato. E nella quarantina di minuti di tempo della sua agonia, possibile che nessuno si sia accorto di nulla?Eppure ci dovrebbe essere una videocamera di sicurezza, forse. Alina era stata scarcerata alcuni giorni prima dal locale carcere, ma era stata trattenuta nei locali di Villa Opicina, ufficialmente, secondo la versione della Polizia, perche’ in attesa degli adempimenti amministrativi finalizzati alla sua espulsione.
Ma per la Procura, dal giorno della scarcerazione, un sabato, la donna non poteva essere trattenuta, chiusa a chiave in una stanza del commissariato.
L’ipotesi di reato per la quale e’ indagato Baffi e’ sequestro di persona e omicidio colposo. Le indagini condotte dal pm Massimo De Bortoli devono verificare se in effetti la Diachuk fosse trattenuta in Commissariato senza alcun titolo, se fosse chiusa a chiave dentro una stanza e se si sia trattato di un caso isolato, o, ”come pare”, conferma il procuratore capo, ci siano stati altri casi di stranieri trattenuti a Opicina senza alcun titolo. ”Stiamo valutando decine di posizioni, a partire dal secondo semestre del 2011, per verificare se quello dell’ucraina sia stato un caso isolato o meno”, conferma Dalla Costa.
In Procura, al momento non intendono dare grande rilievo all’altro aspetto emerso durante le indagini, e cioe’ all’acquisizione di materiale di natura antisemita e di cartucce trovate in casa di Baffi durante una perquisizione. Materiale, quello documentale, giustificato da un sindacato di Polizia dal fatto che Baffi abbia lavorato anche alla Digos. ”I rapporti con la Questura di Trieste – afferma Dalla Costa – sono sempre ottimi e collaborativi, tanto che il questore mi ha assegnato suo personale proprio per sviluppare questa indagine. Non c’e’ alcun ostruzionismo da parte della Questura”, ribadisce il capo della Procura.
Intanto quel che spaventa ai tanti è che nell’ufficio del dirigente d’era un altare al duce. Insomma gusti particolari quelli che la stampa locale enumera nei confronti del Baffi.
A far emergere una relazione tra la vicenda della morte di Alina e le indagini aperte su Baffi sono stati i mediattivisti triestini. I particolari emersi sono più o meno quelli che si sono già analizzati:
- Alina non doveva essere in commissariato, non quel giorno
- Alina aveva patteggiato l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, era stata scarcerata il 14 aprile
- Perchè il 16 aprile Alina era lì?