L’assoggettamento a turni e orari fa del lavoratore un dipendente: non è sufficiente definire la prestazione lavorativa discontinua senza riferirne le mansioni per escludere la sussistenza del rapporto subordinato.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 7376 del 28 marzo 2014, ha respinto il ricorso del Coni contro la decisione della Corte d’appello di Firenze che ha confermato la condanna al pagamento delle retribuzioni omesse, l’indennità di preavviso e il Tfr in conseguenza dell’accertato rapporto di lavoro subordinato di fatto intercorso tra le parti.
La sezione lavoro della Suprema corte ha osservato che, con riferimento alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, le contestazioni del ricorrente sono generiche e basate essenzialmente sul rilievo della discontinuità della prestazione lavorativa senza nulla riferire sulle modalità concrete di svolgimento del rapporto di lavoro. Rilevanti le dichiarazioni dei testi dalle quali era invece emerso il carattere continuativo e regolare della prestazione della lavoratrice soggetta a specifici orari e turni (nella specie, la donna ricopriva il ruolo di segretaria addetta all’amministrazione e ai rapporti con il pubblico).
Insomma, quanto alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato deve rilevarsi che le censure dei ricorrenti sono del tutto generiche non deducendosi né l’illogicità della motivazione, né l’omessa valutazione di circostanze di fatto decisive a dimostrare la natura autonoma del rapporto. Al riguardo, si legge in sentenza che «la rilevanza della volontà delle parti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, richiamata dai ricorrenti, non può essere disgiunta da una verifica in concreto delle caratteristiche e modalità di svolgimento del lavoro in ordine alla quale non sono elementi irrilevanti la continuità della prestazione, la retribuzione percepita l’inserimento stabile e prolungato nell’organizzazione degli enti.
Resta confermata la valutazione della Corte d’appello che, esclusa la sussistenza di un rapporto di lavoro di impiego pubblico, ha dichiarato il diritto della lavoratrice a percepire il Tfr ragguagliato all’intero arco del rapporto di lavoro anche per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, data spartiacque del pubblico impiego privatizzato.
Non giova all’ente pubblico rilevare l’assunzione presso l’ente è comunque subordinata al positivo superamento del concorso e che, pertanto, il rapporto sarebbe nullo per illiceità della causa e dell’oggetto con conseguente inapplicabilità dell’articolo 2126 Cc: in realtà un rapporto di lavoro subordinato sorto con un ente pubblico non economico per i relativi fini istituzionali, nullo perché non assistito da un regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra pur sempre sotto la sfera di applicazione dell’art. 2126 Cc, con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui abbia avuto materiale esecuzione. Al ricorrente 4 mila euro di spese!
Foggia, 1 aprile 2014 Avv. Eugenio Gargiulo