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LETTERA DI MONS. NOSIGLIA AI PRETI TORINESI

Le persone consacrate (religiose e religiosi, diaconi permanenti) sono
in prima fila,
in queste settimane, per offrire il proprio servizio a chi ne ha bisogno.
Ma soprattutto i preti sono chiamati a un «ministero» simile a quello di medici,
infermieri, psicologi. A loro la gente si rivolge con fiducia e con speranza,
in cerca di aiuto o anche soltanto di una parola di sostegno, di
accompagnamento.
Per queste ragioni l’arcivescovo di Torino ha voluto scrivere una
lettera personale
a tutti i sacerdoti della diocesi;
e una lettera analoga è indirizzata ai preti della diocesi di Susa.

Ecco il testo della lettera.

<<Cari presbiteri, dal profondo del mio animo ho deciso di scrivervi
una lettera
in questo tempo difficile e certamente molto doloroso per voi e i
vostri fedeli.
Non è una delle solite lettere pastorali o omelie ma un aprirvi il mio cuore.
Vorrei, ora più che mai, essere con voi vescovo, padre e amico.

Siamo pastori. Gesù ci ricorda che il buon pastore di fronte al lupo
non ha paura
e non fugge come un mercenario ma difende il suo gregge.
Ogni pecora del suo gregge sa che può contare su di lui, pronto a
donare tutto se stesso
– persino la vita – per le sue pecore. So bene quanto questo da un
lato ci consola
perché anche noi facciamo parte del gregge del Signore
e siamo da lui difesi e sostenuti; ma dall’altro siamo anche consapevoli
che la nostra vocazione di pastori che vivono in mezzo al loro gregge
sia oggi apprezzata, cercata e attesa dalla nostra gente spaventata e
disorientata.

Siamo padri. Ed ora è il momento di vivere questo dono che abbiamo ricevuto
e forse non abbiamo mai considerato abbastanza. Manifestiamo dunque la
nostra paternità
non escludendo alcuno dal nostro amore e dalla nostra preghiera,
ma soprattutto aiutando le persone e famiglie che sono più in difficoltà.
Infondiamo coraggio a chi ha subito o sta ancora lottando con la malattia
e sosteniamo la sua fede e la fiducia nel Signore.

Siamo amici, come Gesù ci ha insegnato: «Non vi chiamo servi ma amici».
Quante volte abbiamo sottolineato che il nostro ministero è un servizio a Dio
e alla comunità che la Chiesa ci ha affidato! Oggi siamo chiamati a
fare un passo in più
e a considerarci veramente amici di tutti secondo l’invito di Gesù che ci dice:
«non c’è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici».
La vita che possiamo donare è la nostra serenità, fiducia e speranza
nel Signore,
che siamo chiamati a infondere nelle persone.Soffriamo tutti per la
mobilità ridotta,
i contatti personali inesistenti. È vero. Ma la vita della Chiesa è
una storia delle ricchezze
che proprio le difficoltà hanno stimolato e fatto crescere.
Restare «connessi» fra noi, oggi, è anche un sfida alla nostra intelligenza e
alla nostra ingegnosità…

Siamo persone. I compiti che la missione ci assegna non cancellano le
nostre singole
e umane fragilità e sofferenze. Non mancano anche tra voi, confratelli
che hanno perso o sono molto preoccupati per i loro cari.
Anche per noi la solitudine, i dubbi la paura sono amaro pane quotidiano.
Non possiamo ignorare tali fragilità e sofferenze e non dobbiamo nasconderle.
Infatti è a cominciare da questa prospettiva che testimoniamo la
ricchezza dei doni del Signore:
la fede e la speranza; ed è da qui che siamo chiamati a valorizzare le
nostre risorse:
la fortezza, la temperanza…

C’è una parola che dovrebbe diventare «virale» per tutti noi di questi
tempi: ed è «confidenza».
Confidenza nel Signore prima di tutto.
Ma confidenza anche nei rapporti tra di noi: nessuno ha da rimanere solo.
Sentiamoci, parliamo – anche solo per sapere come si sta.
Teniamo viva quelle rete di stima, di amicizia, di fraternità
che è la sostanza del nostro essere «clero», cioè patrimonio eletto del Signore.

Carissimi,

a questi semplici pensieri che mi partono dal cuore aggiungo un grazie
che vorrei fosse accolto da ciascuno di voi.
Vi ringrazio per l’impegno con cui vi rendete in qualche modo presenti
soprattutto verso quelle persone che piangono i loro cari
e non possono nemmeno dare loro l’ultimo saluto e una stretta di mano
o una carezza.

Vi ringrazio per la costante preghiera che scandisce le vostre giornate,
dalla Messa celebrata da soli ma per l’intera comunità,
al rosario alla Madonna Consolata che come ci ha ricordato il Papa
ha ottenuto nel passato tante grazie in occasione di eventi come questo,
ed è certamente disponibile anche oggi a donarci il suo aiuto e la sua
protezione.

Vi ringrazio per la vostra vicinanza, realizzata attraverso gli
strumenti digitali,
verso i ragazzi e giovani dell’oratorio e del catechismo, le loro
catechiste e catechisti
e animatori.

Ringrazio in particolare i cappellani degli ospedali,i diaconi, i
medici e operatori sanitari,
i volontari Caritas e quanti si prestano per alleviare la solitudine
di tanti anziani soli
mediante una telefonata o una preghiera fatta apposta per loro.

Il virus passerà, ne siamo certi; e tante saranno e le tragedie che si
porterà dietro
ma ci darà modo di riflettere profondamente sul nostro stile di vita,
sul dare importanza
a ciò che conta veramente rispetto a tante altre cose ritenute
necessarie e in realtà superflue
e secondarie.

Vi benedico di cuore e mi auguro che al più presto potremo ritrovarci insieme
per continuare la nostra missione e ritrovare slancio e vigore per il
nostro impegno
verso e con i nostri fedeli.

Cesare vescovo, padre e amico>>

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