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A CastelSardo giace la Corvetta C20 Gazzella, era il 5 l’agosto 1943

corvetta c20 gazzellaUna storia particolare è quella narrata oggi sulla Nuova Sardegna, racconta un pezzo di storia di Italia della Seconda Guerra Mondiale. Era l’ Agosto 1943. La corvetta C20 “Gazzella” della Regia Marina Militare viaggia al largo dell’Asinara: una delle tante missioni sommergibilistiche. Mussolini era in galera, i rapporti tra Italia e Germania si indeboliscono e, l’Italia è allo sbaraglio, qualche settimana dopo verrà firmato l’armistizio. Scubaportal a riguardo della corvetta C20 Gazzella riporta: ” Corvetta Italiana Gazzella che il 5 agosto 1943 assieme alla Minerva in navigazione nel mar di Sardegna, seguendo rotte costiere e diretta alla base della Maddalena, svolgeva attività di caccia ai sommergibili nemici, quando, alle ore 05,08 minuti del mattino, s’imbatteva in un tratto di mare minato qualche giorno prima da due posamine, al largo di Castelsardo. In realtà il Gazzella non avrebbe dovuto transitare per quella rotta, poiché ritenuta insicura. Affondò in 1 minuto.” La corvetta si spezza: 1oo morti solo 2 superstiti.


Sono passati 70 anni e il relitto riposa sempre lì, dove è “morto”, adagiato a 50 metri di profondità a largo di Punta Tramontana .  Su Scubaportal si legge una importante immersione che riportiamo fedelmente: “Sera del 16 luglio 2008 ricevo una telefonata da Romano, titolare del Diving Batrakos: “ciao Mario, domani ci sei? le condizioni del mare consentono l’immersione sul Gazzella” non me lo sono fatto dire due volte, cambio tutti i piani del giorno dopo e preparo l’occorrente per l’immersione. Alle ore 8 anzi con un po’ di anticipo sono al diving che fa sede a Lu Bagnu, piccola località balneare nei pressi di Castelsardo nella splendida cornice del Golfo dell’Asinara.

Romano è già li dalle sette per preparare la configurazione trimix, non è un grande esperto delle immersioni tecniche ma persona umile, appassionato D.I.R. e come tale prepara la sua configurazione aiutato da Gianfranco esperto di questa didattica e terzo compagno di immersione di oggi.


Romano prepara un 15+15, con un 15/40, 7 litri di ean 50 e 7 litri di O2, Gianfranco impeccabile configurazione D.I.R. 12+12 con 16/40, 7 litri di ean 50 e 7 litri di O2 e 7 litri aria, io configurazione “Mario”, 12+12 con 20/10 circa (residuo di un 15/40 e poi riempito con aria) 7 litri di ean 50 e 3 litri di O2, per l’immersione ho previsto 25 minuti a -55.
Ore 9 siamo già in navigazione, la giornata è senza sole con leggero libeccio che sembra rinforzare con il passare del tempo, balleremo al rientro.
Sono il primo ad entrare in acqua e prima di agganciare le bombole di fase do uno sguardo alla cima dell’ancora che scende, la limpidezza dell’acqua è spettacolare, poco dopo mi raggiungono i compagni d’immersione un cenno di OK ed iniziamo la discesa, inaspettatamente dopo i 35 metri la trasparenza non è più la stessa e l’ambiente diventa cupo come se volesse nascondere ai nostri occhi la triste storia di questo relitto.

Siamo ancorati sulla spaccatura che divide la prua 20 metri circa più avanti da dove inizio subito l’esplorazione, il troncone di prua spaccato di netto dall’esplosione si presenta inclinato su se stesso, nell’apertura si può compiere una piccola penetrazione ma non ne vale la pena e poi abbiamo deciso di non farlo, subito si mettono in bella mostra orgogliose delle loro dimensioni tre aragoste ed una mustela, imponente si mostra il cannone da 100 mm. e l’ancora ancora dentro l’occhio di cubia, proseguo dirigendomi verso la nave che si presenta in perfetto assetto di navigazione e subito ho l’impressione di entrare in simbiosi con la vita di bordo: le cucine con ancora le stoviglie in ordine sugli scaffali, la sala carteggio, una brandina probabilmente quella del comandante dove dormiva al momento dell’impatto, libri di bordo che mi astengo nel toccare per la loro fragilità, bottiglie e tanti oggetti sparsi sul fondo. Cambio ambiente e improvvisamente vedo immagini che mi portano alla triste realtà, in fondo ad una stanza un cranio e da un altro oblò vedo una tibia tra le lamiere, resti umani dei 100 poveri e sfortunati marinai incastrati nella nave al momento dell’affondamento avvenuto in un istante, sembra che il tempo si sia fermato in quei tragici momenti di 62 anni fa.


Argano da carico, il fumaiolo, le due eliche, i due lanciasiluri armati con siluri da 455 con gli ordigni ancora nel tubo di lancio pronti a partire, le mitragliatrici che puntano verso il cielo che sembrano li pronte a difendere la nave da un’incursione aerea non immaginando che la morte sarebbe arrivata dal fondo, tutto questo si mostra ai mie occhi in perfetto stato di conservazione.
Penso di ritenermi una delle poche persone al mondo ad aver colto l’atmosfera assolutamente unica di questo luogo poco conosciuto, il diving non ci porta tutti, un po’ per preservarlo il più integro possibile, un po’ per le condizioni del mare sempre poco favorevoli ed infine per la profondità non proprio ricreativa. Ho fatto solo un’immersione sul Gazzella ma non è assolutamente sufficiente, personalmente penso che ci vogliano più discese per placare la curiosità e tutte le successive garantirebbero sempre delle sorprese.
Riemergo per primo, il mio run-time totale è più breve di 6 minuti.
Il mare stranamente calmo mi accoglie sulla sua superficie ed il sole mi scalda il viso, in quei 6 minuti il mio pensiero corre giù da quella cima ai 100 marinai che qui persero la vita.”

 La scoperta della corvetta “Gazzella”, scrive la Nuova Sardegna, avviene grazie ai pescatori di Castelsardo che ancora oggi chiamano quella zona “la secca della nave” sulla base di coordinate tramandate sicuramente da padre in figlio fin da quella giornata dei primi di agosto 1943. I primi a immergersi sono stati i sub di un diving di Castelsardo che denunciarono giustamente il relitto alla Marina Militare come prevede la legge. Anche perché la nave “Gazzella”, al momento dello scoperta, era ancora armata fino ai denti e pericolosissima: nel 2004 una unità speciale della Marina Militare si occupa della bonifica del relitto per evitare rischi. I fratelli Luca e Marco Occulto, della scuola sub “I sette mari” di Sorso conoscono da 10 anni ogni angolo del relitto e lo descrivono affascinati.


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