Italia

Il Governo risponde sull’arresto e l’espulsione in USA del cittadino italiano Stefano Salaris

Atti Commissione Affari Esteri Camera deputati, seduta del 7 marzo 2012.

Interrogazione n. 5-06164 Melis: Sul fermo di un cittadino italiano all’aeroporto di Boston.

Il sottosegretario Marta DASSÙ risponde all’interrogazione in titolo nei termini di cui in allegato (vedi allegato 1), sottolineando che, nel caso in oggetto, le autorità statunitensi hanno operato ritenendo che si trattasse di un caso di ricongiungimento familiare irregolare.

TESTO DELLA RISPOSTA
La questione dell’arresto e della successiva espulsione dagli Stati Uniti del Signor Salaris è ben nota alla Farnesina, che l’ha attentamente seguita tramite il Consolato Generale d’Italia a Boston e l’Ambasciata d’Italia a Washington.


Lo scorso 12 gennaio, il Consolato Generale a Boston è stato infatti informato dall’US Department of Homeland Security dell’espulsione dal territorio americano del cittadino italiano Stefano Salaris, il quale era arrivato all’aeroporto Logan di Boston il giorno precedente. Le competenti Autorità americane, contattate dal Console Generale per richieste di approfondimento, informavano inoltre che il Signor Salaris era stato fermato il giorno precedente e tradotto nel carcere della Contea di Suffolk.
Lo stesso 12 gennaio, il fratello del Salaris, Gianluca, prontamente ricevuto in Consolato Generale, ha riferito di aver appreso la notizia del trattenimento del fratello, Stefano, dalla Polizia aeroportuale mentre era in attesa del famigliare all’arrivo passeggeri dell’aeroporto di Boston. In quella stessa circostanza, la Polizia americana aveva anche contestato al Signor Gianluca Salaris di risiedere illegalmente, da 10 anni, in territorio americano, intimandogli di conseguenza di lasciare il Paese entro e non oltre il 9 febbraio 2012.
Il 13 gennaio 2012 veniva stabilito un contatto diretto tra il Consolato Generale ed Signor Stefano Salaris, il quale lamentava il trattamento ricevuto dalla Polizia americana nonostante fosse arrivato in territorio americano provvisto di ESTA (Electronic System for Travel Authorization). In tale occasione il Consolato Generale era quindi in grado di informare il signor Salaris che, dai contatti avuti con le autorità locali, si era appreso che egli sarebbe stato rimpatriato in Italia nella giornata di sabato, 14 gennaio 2012. Le medesime informazioni venivano date il 14 gennaio 2012 al fratello signor Stefano Salaris, Gianluca. {Electronic System far Travel Authorization). In tale occasione il Consolato Generale era quindi in grado di informare il Signor Salaris che, dai contatti avuti con le Autorit locali, si era appreso che egli sarebbe stato rimpatriato in Italia nella giornata di sabato, 14 gennaio 2012. Le medesime informazioni venivano date il 14 germaio 2012 al fratello del Signor Stefano Salaris, Gianluca.}


In merito agli specifici quesiti sollevati dagli Onorevoli Interroganti, appare opportuno, precisare che l’ESTA (Electronic System far Travel Authorization) – come anche specificato sul relativo sito web delle autorità americane competenti, tra cui l’Ambasciata a Roma – non garantisce al viaggiatore l’ingresso negli Stati Uniti all’arrivo all’aeroporto di entrata. L’approvazione ESTA autorizza soltanto il viaggiatore a salire a bordo del mezzo di trasporto in rotta per gli Stati Uniti, nell’ambito del Programma Viaggio senza Visto. L’ESTA non assicura l’ammissione al territorio americano, poiché le Autorità aeroportuali mantengono la piena facoltà di negarla. Al momento dell’arrivo negli Stati Uniti, il viaggiatore viene infatti intervistato da un funzionario dell’Ufficio delle Dogane e della Protezione delle Frontiere (Customs and Border Protection) dell’aeroporto di entrata, che può dichiarare il viaggiatore non ammissibile all’ingresso.
Nel caso specifico del Signor Salaris, l’intervista non ha dato esito positivo per forte rischio migratorio. Secondo quanto appreso dai contatti avuti dal Console Generale a Boston con le Autorità americane competenti – la Polizia di frontiera aveva infatti verificato che il fratello di Stefano Salaris, Gianluca, risiedeva illegalmente negli Stati Uniti, con la consorte, da oltre dieci anni.
Non appena appreso del caso, il Consolato Generale a Boston ha tempestivamente agito in favore del Signor Salaris, prendendo immediatamente contatto con le autorità locali per conoscere il luogo di detenzione e accertarsi delle condizioni del connazionale e delle motivazioni della sua espulsione, nonché mantenendo un costante contatto con il fratello Gianluca.


Il Console Generale non ha mancato di lamentare – anche successivamente, in un incontro avuto con la responsabile dell’Ufficio delle Dogane e della Protezione delle Frontiere dell’aeroporto Logan di Boston – come il trattamento riservato al connazionale non rifletta gli eccellenti rapporti esistenti fra Italia ed USA. Le Autorità locali hanno tenuto a sottolineare come nessuna pratica discriminatoria era stata condotta nei confronti di nostri connazionali e come il loro comportamento nel caso del Signor Salaris non sia mai andato al di là di quello adottato in casi analoghi. Per quanto riguarda la vicenda del respingimento alla frontiera del Signor Salaris è stato nuovamente ribadito il motivo dell’alto rischio migratorio, anche a causa della posizione illegale del fratello negli Stati Uniti. Le Autorità bostoniane hanno inoltre affermato di non aver negato un contatto del Signor Salaris con le Autorità consolari, di avergli procurato un interprete e di averlo imbarcato sul primo volo utile per l’Italia.
La stessa Ambasciata a Washington ha preso contatto con le autorità americane, effettuando un passo presso l’ufficio dell’Executive Director, Admissibility and Passengers Programs dello US Customs and Borders Protection, Agenzia federale competente per i controlli alle frontiere. L’Ambasciata ha, infatti, espresso preoccupazione per il modo in cui i cittadini italiani respinti vengono talvolta trattati, sottolineando come non gli sia spesso consentito di chiamare le proprie autorità consolari; vengano frequentemente ammanettati e posti in stato di detenzione; non gli venga data la possibilità, quando non parlano l’inglese, di disporre di un interprete. In tale contesto è stato sollevato anche il caso del signor Stefano Salaris, sottolineandone tutte le specificità. Le Autorità americane hanno preso nota delle preoccupazioni italiane, ribadendo come non vi sia alcun intento discriminatorio nei confronti dei cittadini italiani. Hanno assicurato che avrebbero esaminato più approfonditamente il caso del connazionale Salaris, così come quelli di altri connazionali.

Guido MELIS (PD), replicando, prende atto della risposta illustrata dal sottosegretario Dassù, esprimendo gratitudine per la sollecita attivazione delle autorità diplomatico-consolari italiane in favore del concittadino Salaris. Ritiene tuttavia che il trattamento riservato al connazionale, nei cui confronti non sono stati esperiti da parte statunitense i pur circoscritti approfondimenti che avrebbero consentito di chiarire subito la sua posizione, abbia comportato anche la limitazione di alcuni suoi diritti fondamentali. Sottolinea, infine, che si tratta di un nuovo episodio sconcertante che dovrebbe indurre il Governo italiano a porre con forza e in termini generali con le autorità degli Stati Uniti la questione del trattamento dei cittadini italiani.


Franco NARDUCCI, presidente, in qualità di cofirmatario dell’interrogazione in titolo, segnala l’opportunità che l’iniziativa nei confronti delle autorità statunitensi, prospettata dal collega Melis, sia assunta a livello europeo al fine di essere più efficace. Soltanto un’azione concordata con gli altri Paesi europei potrebbe, a suo avviso, indurre ad evitare che si reiterino casi come quello in oggetto o come il caso di Carlo Parlanti, considerata la sollecitudine con cui, in circostanze analoghe, le autorità italiane hanno consegnato cittadini degli Stati Uniti alla giurisdizione del proprio Paese.

Verbale su appunto non ufficiale: intervento di replica Guido Melis

Signor Presidente, ringrazio la sottosegretaria della risposta, che testimonia dell’intervento delle nostre autorità diplomatiche. Rilevo due incongruenze: la prima riguarda la tempestività, giacché la sottosegretaria dice che le autorità italiane sono state allertate da quelle statunitensi, mentre a me risulta che ciò è avvenuto solo dopo un giorno di detenzione del Salaris, quando questi ha avuto una scheda telefonica in prestito da un detenuto e ha potuto chiamare il consolato; la seconda incongruenza riguarda l’interprete, che a me risulta parlasse male l’italiano. Avendo il Salaris scarsa conoscenza dell’inglese ciò ha generato ulteriori difficoltà. Ma non è su questo che intendo insistere, signor Presidente,quanto piuttosto sulla vicenda in termini generali, che a sua volta rimanda ad altri episodi di cittadini italiani detenuti all’atto del loro arrivo negli Usa. Il Salaris non aveva alcuna intenzione di stabilirsi presso il fratello attivando una residenza illegale sul suolo americano. Veniva a Boston per una breve visita, nulla sapendo della situazione irregolare del fratello (curiosa situazione irregolare, per altro, se durava da 10 anni e consentiva al fratello una convivenza con cittadina americana). Egli, arrivato all’aeroporto, è stato fermato, trattenuto un intero giorno presso il posto di polizia aeroportuale, poi trasferito con catene ai piedi e alle mani in due diversi carceri, ivi detenuto due notti senza che gli fosse consentito alcun atto di tutela, con detenuti comuni, in celle confortevoli. E solo dopo l’intervento dell’autorità diplomatica che il sottosegretario ci ha illustrato, accompagnato sotto scorta a un aereo e riconsegnato in Italia. Io mi domando che razza di paese sia diventato quello che tutti consideriamo il paese-leader della democrazia occidentale. Se fosse capitato molto meno in un paese dell’est Europa avremmo detto d’essere di fronte a democrazie imperfette, residui di autoritarismi recenti. Nel caso degli Usa si resta senza parole. Io chiedo che il Governo si faccia carico di reimpostare l’intera questione, nei suoi termini generali, con il governo degli Stati Uniti, affinché simili assurdi episodi non abbiano più a verificarsi.


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