A dieci anni dell’uccisione di Marco Biagi continuano le riforme precarizzanti del rapporto di lavoro
Sono passati 10 anni da quella mattina di marzo quando le nuove Brigate Rosse uccidono il prof. Marco Biagi.
Biagi era un noto giuslavorista, docente presso le università di Pisa, della Calabria, di Ferrara e di Modena e Reggio Emilia, ma sopratutto era l’uomo che negli anni 90 otteneva molti incarichi politici consulente ed esperto di diritto del lavoro e come consigliere di diversi ministri del Governo Italiano.
Marco Biagi viene ucciso all’interno della logica terroristica di annientamento di professionisti e servitori dello Stato legati ad un contesto di ristrutturazione del mercato del lavoro, un pò come era successo a D’Antona.
Biagi paga con la vita il suo impegno professionale infatti, come è noto, nel 2001 è consulente del Ministro del Welfare Roberto Maroni per l’elaborazione delle riforma del mercato del lavoro. Nello stesso anno viene chiamato come Consigliere dal Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e nominato componente del Gruppo di alta riflessione sul futuro delle relazioni industriali, istituito dalla Commissione europea. C’è chi sostiene che se non fosse stato ucciso probabilmente la precarizzazione del contratto di lavoro in Italia non sarebbe stato poi così forte. Infatti è noto che, sull’onta emotiva dell’assassinio il Governo completa la riforma a vantaggio delle imprese, della classe imprenditoriale e a completo svantaggio del lavoratore.
Alla stazione di Bologna, quel freddo mattino di marzo, come forse avevano già fatto i terroristi stavano osservando Biagi, sceso dal treno proveniente da Modena dove insegnava all’università, ha telefonato alla moglie, Marina Orlandi per dirle che stava arrivando a casa. Lo stavano spiando quando ha sistemato la borsa sulla bicicletta, è salito in sella e ha cominciato a pedalare verso casa. E in via Valdonica, l’antica stradina pedonale nel silenzioso ghetto ebraico di Bologna, lo stavano di fatto aspettando. Sei colpi di pistola, esplosi a raffica a distanza ravvicinata.
E’ morto così vicino alla sua bicicletta, il 19 marzo di 10 anni fa, il giuslavorista Marco Biagi, 52 anni. A freddarlo sotto il portone della sua abitazione, pochi minuti dopo le 20.30 un commando armato delle nuove Br che rivendicarono l’attentato prima con alcune telefonate ai giornali, poi con un comunicato di 26 pagine inviato a 533 indirizzi e-mail tra cui alcune testate nazionali.
Per restare nell’attualità e non sfogliare solo pagine di cronaca e storia passate, è bene ricordare che il lavoro intorno a quella che è stata nominata Riforma Biagi continua ancora e anche il ministro Fornero continua la precarizzazione del rapporto di lavoro. Sarebbe invece necessario rivedere le norme che regolano i rapporti di lavoro a partire proprio dalle tutele sociali e da quell’articolo 18 che ora più che mai andrebbe salvato.
L’omicidio Biagi però segna l’Italia del cambiamento anche per un altro frangente. E’ la prima volta in Europa che una rivendicazione non arriva su una lettera o su un volantino ma attraverso una email che i terroristi inviano a tantissime testate giornalistiche.