Caso Orlandi: la Santa Sede ha collaborato con gli inquirenti dello Stato Italiano
Continua a far parlare di sè il caso Orlandi. Intanto c’è qualcuno che ribadisce: “Non e’ fondato accusare il Vaticano di aver ricusato la collaborazione alle Autorita’ italiane preposte alle indagini” a dirlo è il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, documentando tutte le risposte offerte in merito agli inquirenti italiani. Secondo le dichiarazioni di Lombardi “Non solo la Segreteria di Stato, ma anche il Governatorato furono impegnati nel fare tutto il possibile per contribuire ad affrontare la dolorosa situazione con la necessaria collaborazione con le Autorita’ italiane inquirenti, a cui spettava evidentemente la competenza e la responsabilita’ delle indagini, essendo il sequestro avvenuto in Italia”, Secondo le dichiarazioni di Lombardi un testimone dell’epoca dei fatti potrebbe essere il cardinale Giovanni Battista Re, all’epoca assessore della Segreteria di Stato.
Intanto sottolinea il testimone della Santa Sede che vi è “La piena disponibilita’ alla collaborazione da parte delle personalita’ vaticane che a quel tempo occupavano posizioni di responsabilita’, risulta da fatti e circostanze. Solo per fare un esempio, gli inquirenti (e soprattutto il Sisde) avevano avuto accesso al centralino vaticano per possibile ascolto di chiamate dei rapitori, e anche in seguito in alcune occasioni Autorita’ vaticane ricorsero alla collaborazione con Autorita’ italiane per smascherare ignobili forme di truffa da parte di presunti informatori” “risponde percio’ a pura verita’ quanto affermato con nota verbale della Segreteria di Stato n. 187.168, del 4 marzo 1987, in risposta vaticana alla prima richiesta formale di informazioni presentata dalla magistratura italiana inquirente in data 13 novembre 1986”.
Tale documento ricostruisce che “le notizie relative al caso erano state trasmesse a suo tempo al pubblico ministero dottor Sica”. “Si presume -che siano custodite presso i competenti uffici giudiziari italiani”. Per padre Lombardi, “anche nella seconda fase dell’inchiesta le tre rogatorie indirizzate alle Autorita’ vaticane dagli inquirenti italiani (una nel 1994 e due nel 1995) trovarono risposta”.
Inoltre, “come domandato dagli inquirenti”, sia Ercole Orlandi (papa’ di Emanuela), che una lunga sfilza di personalita’ vaticane, “resero ai giudici del Tribunale Vaticano le loro deposizioni sulle questioni poste dagli inquirenti e la documentazione venne inviata, per il tramite dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, alle Autorita’ richiedenti”. Ad essere interrogati, ha elencato padre Lombardi, furono il commendatore Camillo Cibin (allora comandante della Vigilanza vaticana), il cardinale Agostino Casaroli (gia’ segretario di Stato), monsignor Eduardo Martinez Somalo (gia’ sostituto della Segreteria di Stato), monsignor Giovanni Battista Re (allora assessore della Segreteria di Stato), monsignor Dino Monduzzi (allora prefetto della Casa Pontificia), monsignor Claudio Maria Celli (gia’ Sottosegretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato). “I relativi fascicoli – ha rilevato in merito padre Lombardi – esistono tuttora e continuano a essere a disposizione degli inquirenti. E’ anche da rilevare che all’epoca del sequestro di Emanuela, le Autorita’ vaticane, in spirito di vera collaborazione, concessero agli inquirenti italiani ed al Sisde l’autorizzazione a tenere sotto controllo il telefono vaticano della famiglia Orlandi e ad accedere liberamente in Vaticano per recarsi presso l’abitazione degli stessi Orlandi, senza alcuna mediazione di funzionari vaticani”.