Fiore Sardo, un testo di Maria Ivana Tanga, sui passi di Grazia Deledda alla scoperta di una Sardegna quasi sconosciuta
Maria Ivana Tanga, giornalista-editorialista. E’ consulente in tematiche letterarie (e gastronomiche) della rivista on-line ‘Taccuini storici’, di origine beneventana è appassionata di archeo-gastronomia, ed autrice di svariate pubblicazioni. Maria Ivana, Console della Grecia e dell’area mediterranea per l’Accademia Gastronomica Storica, è appassionata di “archeo-gastronomia” è anche l’autrice de “I Malavoglia a tavola”, “Il Pane e il Miele”, testo di ricerca storico-antropologica sulla cultura gastronomica greca tradotto in lingua con il titolo “Sto trapezi tis theas Estias” (Alla tavola della dea Estia), ha da poco pubblicato un libro alla scoperta della Sardegna e del mondo agropastorale sardo attraverso la prosa di Grazia Deledda.
Fiore Sardo, Book Sprint edizioni, è un viaggio alla scoperta del mondo pastorale sardo attraverso la prosa di Grazia Deledda. Il libro, secondo le varie presentazioni online, si innesta nell’ambito di una ricerca a più ampio respiro volta ad accendere i riflettori sul mondo mediterraneo e le sue “mille anime”, per riscoprire un mondo ancestrale, quasi preistorico, fuori dal tempo.
Questa è la Sardegna profonda, selvaggia, dei pastori, dei banditi, dei briganti. Nella presentazione dell’opera su Taccuini Storici si legge “Questa è la storia di una memoria antica che ci riporta alle donne vestite di nero, ieratiche figure preposte al sacro rito della preparazione dei pasti fatti di piatti semplici, essenziali, cucinati alla pietra del focolare. Il testo però sembra essere una ricerca di più ampio respiro, volta ad accendere i riflettori sul mondo mediterraneo e le sue mille ‘anime’. Con l’orecchio sempre attento a captare i messaggi che provengono dalle ‘zone d’ombra’ del ‘nostro mare’, intendiamo ridare voce a quelle ‘masse silenziose’, a quell’esercito di ‘senza storia’ che hanno popolato e popolano le ‘sacre sponde’. Il testo parla di una Sardegna arcaica, lontana,profonda e selvaggia, parla della Barbagia lontana dal mare circondata dai monti, parla di banditi. Un libro che coglie diversi spaccati di tradizioni e costumi antichi. Tanti sono i quadri di vita domestica che l’autrice definisce “omerici”. affreschi che descrivono l’intimità della casa, della capanna sarda con al centro, come un ‘òmphalos’, il focolare domestico. Pensiamo alle “donne vestite di nero”, ieratiche figure preposte al sacro rito della preparazione del pasto, chine, amorevolmente, sui paioli, come premurose vestali, intente a vegliare su zuppe e farinate, oppure, sedute a terra ad impastare il pane o i maccheroni. Riti arcaici, gesti antichi, solenni accompagnano la preparazione di piatti semplici, essenziali, cucinati sulla pietra del focolare. Piatti fatti di pochi ingredienti: pane, formaggio, erbe selvatiche, latte, miele. Vere e proprie “icone” della civiltà pastorale, di una cultura gastronomica autentica ed originale, di cui sembra avvertire il profumo nei romanzi e nelle novelle della Deledda.”