Jiu-Jitsu La “dolce arte”, dove il morbido vince il duro
La traduzione in italiano della parola Jiu-Jitsu è: “ Dolce Arte “. E’ un’ arte di combattimento basata sul concetto fondamentale: “ la cedevolezza può neutralizzare la forza “, cioè assorbire l’ aggressività con cui ci attacca l’avversario e ritorcerla contro di lui per neutralizzarlo.
Il Jiu-Jitsu è un’arte di difesa personale che basa i suoi principi sulle radici del nome originale giapponese: Hey yo shin kore do, ovvero “Il morbido vince il duro”. In molte arti marziali, oltre all’equilibrio del corpo, conta molto anche la forza di cui si dispone. Nel Jiu-Jitsu , invece, la forza della quale si necessita proviene proprio dall’avversario. Più si cerca di colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il principio, quindi, sta nell’applicare una determinata tecnica proprio nell’ultimo istante dell’attacco subito, con morbidezza e cedevolezza, in modo che l’avversario non si accorga di una difesa e trovi, davanti a sé, il vuoto.
La nascita del Jiu-Jitsu è avvolta nella leggenda e gli stessi cultori sono divisi circa il luogo delle sue origini; oltre più vi sono diverse leggende sul nascere di questa lotta. Però tutte hanno in comune un particolare e cioè: un giorno un tale Shirobei Akijama ( per alcuni un samurai, per altri un medico ) vide tra decine di alberi spaccati dal peso della neve, un esile salice che tornava a svettare, dopo essersi liberato del pesante e candido mantello. Akijama, meditando su ciò che vide, formulò il principio di piegarsi alla forza per poterla neutralizzare e creò dei movimenti utili allo scopo.
Per secoli il Jiu-Jitsu fu appannaggio della casta dei nobili e dei samurai. Era una lotta senza esclusioni di colpi che spaziava dalla lotta corpo a corpo fino ai combattimenti con le armi bianche in uso nell’epoca feudale. Il Jiu-Jitsu era altresì diviso tra varie scuole che, al pari di vere e proprie sette, portavano avanti ciascuna un proprio sistema di insegnamento con tanto di tecniche segrete, che venivano trasmesse solo ai più ferventi iniziati.
Dal punto di vista della divulgazione il Jiu-Jitsu, dopo aver trovato una netta diffusione nel Giappone del 1500, ebbe il suo massimo splendore dal 1600 fino alla metà del 1800, quando con l’arrivo del commodoro americano M.C. Perry, il Giappone aprì i suoi traffici con l’occidente. I guerrieri samurai persero così, con l’avvento dell’era Meiji e l’abolizione del feudalesimo nel 1871, la loro posizione di classe privilegiata.
Il Jiu-Jitsu si diffuse nel resto del mondo grazie a quanti, viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) a partire dall’era Meiji, lo appresero reimportandolo nel paese d’origine.
Oggi è praticato in numerosi paesi del mondo, con organizzazioni anche di carattere internazionale. In Italia la FIJLKAM Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, possiede al suo interno un settore dedicato a quest’arte che fece la sua prima fugace apparizione in Italia si deve a Pizzarola e Moscardelli, marinai della Regia Marina, che nel 1908 ne diedero una dimostrazione al Re; ma fu Gino Bianchi(un marinaio), che dopo quaranta anni, portò il Jiu-Jitsu in Italia.