L’origine delle anomalie venose non risulta ancora chiaramente compresa. Le alterazioni venose descritte consistono principalmente in ostruzioni, correlate ad ipoplasia segmentaria della parete venosa, oppure, più frequentemente, a difetti endoluminali quali webs, anelli, setti o membrane, lembi valvolari venosi fissi, inversione dell’orientamento delle valvole venose, possibili conseguenze di arresti dello sviluppo durante la vita fetale in stadi tardivi della formazione dei tronchi vascolari [4]. Tutto ciò può variamente associarsi a stenosi o ostruzioni soprattutto a livello delle vene giugulari interne e/o delle azygos, con alterazioni del flusso venoso e formazione di canali venosi collaterali.
Da un’ attenta lettura dei dati della letteratura emerge quanto segue. E’ noto come la parete vasale risponda dinamicamente alle alterazioni locali di flusso e pressione, con innesco di processi infiammatori e trombotici, cui conseguono danni tissutali. Il reflusso venoso cronico, associato ad alterazioni del fisiologico drenaggio dal sistema nervoso centrale, potrebbe condurre ad un danno della barriera emato-encefalica con stravaso di eritrociti e deposito perivenulare di emosiderina, con successivo innesco di risposte antiinfiammatorie, degenerative ed autoimmunitarie. I processi di precoce demielinizzazione e di progressiva perdita di oligodendrociti non sarebbero dovuti a processi autoimmunitari mai ben definiti, ma potrebbero inquadrarsi piuttosto come reazioni secondarie a processi infiammatori ed immunitari provocati da alterazioni vascolari.
Questi dati sarebbero supportati da studi ex-vivo su placche in pazienti con sclerosi multipla, evidenzianti significativi depositi di ferro e danni vascolari soprattutto lungo il decorso dei vasi venosi [5], e da studi in-vivo con risonanza magnetica cerebrale che confermerebbero una topografia venulare delle placche tipiche della sclerosi multipla, sede di macrofagi ricchi in emosiderina, ed una riduzione del volume e del tempo medio di transito del flusso ematico cerebrale [6].
I criteri diagnostici proposti, sono essenzialmente di tipo strumentale e vedono come primo step l’ecografia Doppler per l’individuazione della presenza di almeno due dei cosiddetti cinque criteri di Zamboni [7]. Questi riscontri in sé non includono la necessità della diagnosi di sclerosi multipla: l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale non è di fatto ritenuta una componente necessaria di questa patologia, né un elemento indicativo del tipo di prognosi di questi pazienti. Può inoltre essere riscontrata variamente anche in altre patologie degenerative neurologiche e non ed anche in soggetti sani, sebbene con frequenza inferiore a quella documentata nella sclerosi multipla [8].
Al di là dei differenti punti di vista leggittimamente espressi dagli esperti del settore, rimane da sottolineare come la multidisciplinarietà delle questioni in discussione, unite al tipo di dati scientifici finora a nostra disposizione, renda difficile ad oggi poter sostenere con autorevolezza una posizione univoca.
E’ mia convinzione che un chiaro segnale di ordine e rigore debba venire anche dalla comunità angiologica, soprattutto in merito all’esistenza ed alla conseguente definizione e diagnosi della cosidetta insufficienza venosa cronica cerebrospinale. Solo successivamente potranno essere analizzate con più chiarezza le eventuali correlazioni con la sclerosi multipla o altre patologie degenerative e le conseguenze specifiche di queste associazioni sull’andamento clinico e prognostico di queste malattie .
La mancanza di dati epidemiologici esaustivi in pazienti con patologie differenti dalla sclerosi multipla o in soggetti normali, sempre e solo considerati nell’ambito di studi indirizzati all’analisi della sclerosi multipla, unitamente alla differente prevalenza dei criteri di CCSVI in queste popolazioni “gruppo di contollo” , a seconda del numero di pazienti arruolati nei differenti singoli studi, contribuisce non poco ad alimentare le incertezze circa il ruolo fisiopatologico di questi riscontri anatomici.
Mancano infine dati sulla popolazione generale a proposito delle dinamiche delle grosse vene cerebro-efferenti. Anche in questo caso, la mera documentazione anatomica non può essere considerata un efficace surrogato di possibili alterazioni funzionali di parametri quali flusso venoso e perfusione cerebrale. Queste dovrebbero piuttosto essere quantizzate in modo uniforme, riproducibile e possibilmente non invasivo, sia in fase iniziale di screening che in corso di follow-up.
E’ evidente come molte questioni rimangono ancora irrisolte. Come valutare un normale drenaggio venoso cerebrale? Cosa ritenere patologico, sia esso di origine congenita o acquisita? Quali lesioni danno origine effettivamente a spettri di patologia e quali no? La risposta a queste domande dovrà precedere l’adozione su larga scala di terapie specifiche in pazienti correttamente inquadrati in ambito fisiopatologico e clinico. Tutto questo al fine di garantire una migliore qualità di vita a lungo termine e giustificare eventuali possibili complicazioni, soprattutto se verrà dimostrato in modo definitivo e con follow up a lungo termine l’efficacia di terapie di tipo invasivo.
La sempre più pressante richiesta di protocolli diagnostici corretti e riproducibili e di terapie mirate può costituire un giusto stimolo per la comunità scientifica angiologica, affinchè ci si dedichi al completo inquadramento della fisiopatologia del circolo venoso dei distretti toracico e cerebrale, con la stessa attenzione e rigoroso impegno per decenni dedicato in prevalenza allo studio del sistema venoso degli arti inferiori. Solo a quel punto potremo identificare correttamente l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale nei nostri pazienti, evidenziando le eventuali correlazioni con altre patologie.
M. Cospite
FONTE: ANGIONEWS – Il giornale on-line della SIAPAV (Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare) – 28 agosto 2012