Editoriali

Nouvelle cusine

Parigi, ristorante “La bouche d’Hercule”, nouvelle cuisine. Menù scelto con cura per fare colpo su di lei: “Antipast: Paté de zuquines au fourne, délice des deux Murges, un par de fagian arrost.”
Lei : “Vado un attimo in bagno e torno. Muuah!”
Io: “Ti aspetto, amore.”
Lei: “Garçon, le cessò s’il vous plaît!”.


Si riparte: “Risates de castagnes en salse douce”. Hmmm… amore! “Boccon de mer”, una messa per il palato! “Flambé de pomodor en camiche…” Chi, chi è l’artista? Lo vogliamo conoscere, lo vogliamo osannare, santificare.

Eccolo, è lui, lo chef ! Camice bianco, toque, fucile a canne mozze… Fucile a canne mozze? Sì, fucile a canne mozze, occhi iniettati di sangue e una domanda:

“Qui est le farabut qui est andé à le cabinet?”

Cinquanta clienti trattengono il respiro, nessuna risposta.

“Giò répète: qui est le farabut qui est andé à le cabinet?”

Gli sguardi s’incrociano, s’interrogano, s’abbassano. Coltelli, forchette e bicchieri non cantano più.

“Bon, portez les séguges!”

Entra l’aiuto cuoco con due segugi al guinzaglio. Fiutano l’aria, i piedi, abbaiano, hanno trovato una pista, una pista invisibile, un ponte di effluvi che portano dritto dritto a un punto preciso: lei.

Lo chef è un gigante, ha le narici di un bufalo, voltandosi fa gli scatti e i rumori di un robot che si sgranchisce il collo, lo sguardo è ora quello inespressivo degli squali. Tentato di scappare a gambe levate e lasciarla al suo destino ma non mi muovo: sono un blocco di ghiaccio. Ci guarda, senza più odio lui ci guarda. Il suo respiro è profondo. Si direbbe una cisterna vuota.

“Levez-vous-vont!”

“Vous-vont?”

“Oui, vous-vont!”

Ci alziamo. Lei si azzarda a portare un ultimo boccon de mer alla bocca ma io la fulmino con lo sguardo. Desiste.

“Séguitez-moi!”

Ci apre la porta del bagno. Lo spettacolo è indecoroso, un capolavoro in un certo senso.

“Ti giuro, amore che non sono stata io!”

Ci portano spugne, spugnette, secchio e detersivo:

“Pulez cette squifetz!”

Puliamo, a lungo puliamo. Il colosso viene a controllare, annusa, guarda nel water, dietro il Water, tra le mattonelle, laddove la sporcizia si va a nascondere, laddove è sicuro di trovare dei germi ridacchianti, li trova. Come una balena infuriata spruzza una colonna d’acqua contro il soffitto. Ripuliamo, standoci più attenti, insistiamo. Torna. Ispeziona. Puliamo un’altra volta. Rieccolo. Non sorride ma sembra che questa volta ce l’abbiamo fatta.

“Et maintenant, osa la mia lei, nous povons torner à mangier?”

Lino Soddu

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