Lo studio Cosmo nega correlazioni tra Ccsvi e sclerosi multipla. Che cosa ne pensa?
Da questo studio io uscii in fase di progettazione, perché sapevo che la metodologia proposta avrebbe portato a questo risultato negativo. Il problema è che il sistema più semplice per fare diagnosi è l’ecodoppler, ma è un metodo in cui c’è una grande variabilità di risultati dipendenti dall’operatore, in cui il giudizio deriva da una sua interpretazione sui dati. Avevamo proposto di far effettuare l’esame da un angiologo o un radiologo vascolare, più esperto nella materia; viceversa i neurologi hanno voluto avocare a sé la gestione e hanno fatto fare un programma di formazione per personale neurologico, ma l’esame ecodoppler è molto complesso.
Questo spiega il risultato differente?
La presenza della Ccsvi in pazienti con sclerosi multipla è confermata dagli scienziati dell’area cardiovascolare in una quota variabile tra il 60 e il 100 per cento dei casi. Viceversa gli studiosi con formazione neurologica, nella maggior parte dei casi, non la trovano associata ai pazienti e la ritengono presente in una quantità pari nella popolazione generale. Questa spaccatura nel mondo scientifico lascia la controversia completamente aperta.
Non c’è modo di dirimerla?
La scorsa settimana, a una consensus conference di radiologi il professor Giovanni Simonetti (Università di Roma Tor Vergata) ha proposto di utilizzare una diagnostica integrata con quattro esami: flebografia con catetere, risonanza magnetica delle vene, ecodoppler, pletismografia cervicale. In questo modo si potrebbero avere dati più affidabili.
Quindi lo studio Cosmo non ha validità?
Avevo già detto che se il dato epidemiologico non è raccolto in modo adeguato, il risultato non è quello reale. Posso far osservare che proprio oggi (ieri, ndr) è uscito su Phlebology (rivista leader per le malattie delle vene) un lavoro che ho condotto in collaborazione con biofisici inglesi, che dimostra – con un metodo che non è operatore dipendente – che nei pazienti con sclerosi multipla e Ccsvi il sangue che esce dal cervello incontra una maggiore resistenza idraulica a causa dei blocchi. Oppure indicare il nostro studio, svolto in collaborazione con colleghi di New York e presentato ieri proprio a Lione, da cui emerge che gli interventi alle vene cerebrali producono miglioramenti. Vorrei ricordare che parliamo di una malattia di cui non si conosce ancora la causa, né il processo patogenetico. E si vuole ostacolare la libertà di ricerca?
Fonte: http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/replicazamboni.aspx