Guaratto muore Giuseppe Burgarella. Morto di disoccupazione
Si uccide e accanto a sè lascia un messaggio: “Se non lavoro non ho dignità. Adesso mi tolgo dallo stato di disoccupazione”. Giuseppe si è ucciso lasciando quel messaggio tra le pagine del libro della Repubblica Italiana.
Giuseppe lascia anche un elenco lungo di morti per disoccupazione. Una strage. Giuseppe Burgarella 61 anni, operaio, è morto con un cappio al coll e con le sue frasi. Frasi profonde.
Giuseppe era di Guaratto, paese del trapanese con meno di un migliaio di abitanti, al sud, profondo sud.
Così scrive La Repubblica
Nel giardino della villetta dei Burgarella, muratori sindacalisti (Cgil), c’è un gazebo: tavolo di legno, quattro sedie, gli attrezzi. Da quando gli hanno tolto la «dignità» Giuseppe, non trovando altro da fare, ci va ogni mattina a mettere in ordine. Sessantuno anni, è il più giovane dei due fratelli. Ha iniziato da ragazzino segando il marmo, dai 30 in poi sempre e solo mattoni. L’ultimo contratto è datato 2000: poi la Cooperativa CELI di Santa Ninfa, una delle tante nate nel trapanese dopo il terremoto che nel 1968 sconvolge la Valle del Belice, lo lascia a casa perché non c’è lavoro nemmeno per i soci. Per due anni Giuseppe riceve l’indennità di disoccupazione: 700 euro al mese. Ma lui vuole lavorare. Non solo il bisogno economico — non è era fatto sentire, il muratore di Guarrato. Ultimamente aveva scritto due lettere: una al presidente Napolitano e una a Susanna Camusso, segretario della Cgil, il sindacato
al quale Burgarella era iscritto da sempre (faceva parte del direttivo provinciale della Fillea).
Nelle missive aveva messo nero su bianco tutto il suo disagio, una sofferenza mai spenta e che non riusciva più a tenere per sé. «L’articolo 1 della Costituzione dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. E allora perché lo Stato non mi aiuta a trovare lavoro? Perché non mi toglie da questa condizione di disoccupazione? Perché non mi restituisce la mia dignità?». Fino alla minaccia finale. «E allora se non lo fa lo Stato lo debbo fare io…».
Il gazebo. Una corda e una sedia. Alle 8.30 di domenica il fratello Giovanni lo trova cadavere. Gli accertamenti dei carabinieri di Trapani escludono piste “altre”: né debiti, né malattie incurabili, né movente sentimentale.. I carabinieri gli trovano in tasca copie delle lettere. «Al presidente Napolitano…». «A Susanna Camusso…». Non distante dal corpo senza vita dell’uomo, una versione-opuscolo della Costituzione con dentro il pizzino dei suicidi “da disoccupazione”. La lista di «quelli come me», che si chiude, infatti, col suo nome. «Mi tolgo io dalla condizione».