L’ex-marinaio Lorenzo Franzino racconta…
Il 10/10/1942, a 19 anni, fui chiamato alle armi come marinaio torpediniere dalla capitaneria del porto di Savona; dopo accertamenti con altri marinai fui trasferito al deposito di La Spezia dove però non vi erano posti letto, abbiamo pernottato su una nave passeggeri (la Marco Polo).
Il giorno dopo ci rasarono i capelli a zero e ci diedero il numero matricola (il mio era 124221) il vestiario, lo zaino e, in seguito, facemmo il giuramento e la visita medica.
Dopo qualche giorno mi mandarono a San Bartolomeo (vicino a La Spezia) per il corso torpediniere: tre mesi a studiare e tutte le mattine facevamo ginnastica in pantaloncini e petto nudo.
Dato che eravamo nella stagione invernale la situazione creò mugugno diffuso, per punizione di queste lamentele ci spettò qualche ora fermi sull’attenti.
La guerra infuriava, noi allievi nel tempo libero andavamo a preparare mine in una polveriera molto vicina per essere poi imbarcati su posamine; queste venivano posizionate in punti strategici per la protezione dei nostri porti.
Pioveva sempre, si lavorava all’aperto, non mi sentivo tanto bene ed ho chiesto la visita medica, visita poca e per medicina mi hanno dato un bicchiere di olio di ricino (era la medicina quasi per tutti i malanni).
Finito il corso con altri otto compagni torpedinieri siamo stati destinati a Sampierdarena per essere imbarcati sulla corvetta IBIS che era ancora in allestimento.
Si viveva in caserma e a bordo si saliva per lavori e pratiche, quasi tutte le notti bisognava correre sotto i rifugi causa bombardamenti alle città del nord, per noi il punto più vicino era sotto il faro nella galleria del treno che portava al porto di Genova.
Passati tre mesi mi sentivo febbricitante, ho chiesto la visita medica, mi hanno mandato all’ospedale di Massa Carrara; dopo accertamenti hanno riscontrato un principio di pleurite, mi hanno dimesso, per mesi destinazione a terra.
Sono ritornato al deposito di La Spezia; con tutte le navi in porto quasi tutte le notti subivamo bombardamenti, è stato colpito anche il deposito, distrutti diversi cameroni e mense, affondate diverse navi in porto e in rada.
Durante i bombardamenti prendevamo rifugio nelle gallerie ferroviarie sopra l’abitato di La Spezia. Ricordo che una sera, a circa 50 metri dall’uscita di una di queste gallerie, insieme a Sergio Rodino di San Giuseppe di Cairo e a Renato Goso di Bragno attendevamo il cessare dei bombardamenti, fumando una sigaretta e guardando la città illuminata dalla luce dei bengala, quando improvvisamente una bomba cadde all’imboccatura della galleria.
Lo spostamento d’aria gettò lontano il mio cappello e la sigaretta che stavo fumando. Non era più possibile uscire dalla galleria: abbiamo dovuto percorrerla in direzione opposta per sette chilometri e prendere la galleria parallela per tornare in caserma.
Siamo poi arrivati alle sei del mattino: dopo cinque ore dal bombardamento. Rodino, che preferì passare sul passo del Bracco è arrivato molto dopo, intorno alle ore 12.
Una mattina rientrando in caserma dopo un bombardamento non ho più trovato il mio zaino, me lo avevano rubato.
Per fortuna l’ho riconosciuto sulle spalle di un altro marinaio: il suo zaino era rimasto sotto le macerie, mi ha chiesto di non denunciarlo e quindi me lo ha restituito
Bruno Chiarlone