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Presentazione del progetto in corso dell’Agorà sociale a cura dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia

 (Torino, Sala convegni Cottolengo, 5 aprile 2014, ore 9,30)

«Cari amici vi ringrazio della vostra partecipazione e ringrazio in particolare il prof. Giorgino per la sua disponibilità ad offrirci il suo prezioso contributo ai nostri lavori.

Abbiamo dato il via in questi mesi al percorso dell’Agorà del sociale, come avevo annunziato a San Giovanni. L’Agorà del sociale intende essere uno spazio di riflessione con i diversi soggetti, sia intra-ecclesiali che extra, sul tema del “futuro” del nostro territorio, a partire dai bisogni emergenti di chi vive situazioni  di povertà e di sofferenza o di grave difficoltà a causa della mancanza di lavoro, del problema della casa o altre fatiche connesse. L’approccio a queste problematiche non può avere un taglio assistenziale: come comunità cristiana e civile è necessario andare oltre i pure importanti aspetti solidaristici, che però non riescono a sostenere un impegno sociale e politico rettamente inteso, rispondono all’emergenza ma non operano sulle cause delle povertà vecchie e nuove  e non diventano un volano di rilancio dell’economia e dei diritti fondamentali di ogni persona nella società.


Per cui, il percorso dell’Agorà intende rispondere a una domanda di fondo: Quali sono le vie  su cui impegnarci in modo prioritario e facendo squadra tra tutte le componenti della società, a cominciare dagli stessi soggetti destinatari dei vari servizi, per ridare slancio a una ripresa economica, culturale, etica e sociale del nostro territorio?

Si tratta dunque di tracciare i passi del futuro su cui puntare uniti. L’Agorà dovrà essere un  percorso progettuale per stimolare una strategia appropriata per il futuro del nostro territorio sia in campo sociale che politico e culturale e sia in quello di un rinnovato welfare di comunità. Quello che interessa è dunque puntare per la ripresa su alcuni impegni prioritari che affrontino – e lavorino per superare – il gap che si sta sempre più creando tra quelle che ho chiamato «le due città»: gente che sta ancora relativamente bene e che ha cavalcato il cambiamento in atto, ricavandone addirittura  vantaggi, e gente, sempre più numerosa, che dal ceto medio è discesa sotto la soglia della povertà.

L’Agorà procederà per tre fasi: la prima, che è stata avviata in questi mesi e termina oggi, coinvolge nella riflessione e progettazione le realtà intraecclesiali; la seconda, che sarà avviata tra pochi giorni e durerà fino a maggio, quelle extra-ecclesiali; la terza sarà il momento assembleare più ampio e intenso (vicino a San Giovanni), in cui tutte le componenti del sociale, ecclesiali e civili si uniranno per mettere insieme i risultati delle due fasi precedenti e avviare un comune confronto per definire la programmata strategia del futuro. Le fasi si muoveranno sugli stessi binari di indagine e di confronto su alcuni ambiti che ruotano tutti su un punto centrale: come dare vita a un nuovo modello di sviluppo che metta al centro sempre e ovunque la persona e sia basato su stili di vita  condivisi di gratuità e fraternità.

Le criticità del momento che vive il nostro Paese sono tante – come sappiamo – e farne l’elenco  sarebbe lungo quasi come un bollettino di guerra. Guardando alla nostra città e territorio troviamo – a detta di tutte le rilevazioni – uno dei siti che sta soffrendo più di tutti gli altri del Nord e si trova ormai a competere in senso negativo con le più povere e tradizionali zone e città del sud del Paese. Noto inoltre che c’è una sofferenza diffusa che si innerva negli animi e nella vita delle persone, una crescente separatezza gli uni dagli altri, un’indifferenza e solitudine che conduce alla disperazione, a un’irrazionale rabbia che protesta senza però proporre niente di efficace e positivo. Di fatto, chi  deve affrontare da solo problemi concreti come la mancanza di lavoro o lo sfratto di casa, o addirittura i beni quotidiani primari, è portato a conseguenze a volte devastanti, fino al rifiuto della stessa vita.

Eppure non manca chi va controcorrente e continua a lottare e credere che sia possibile cambiare, non sulle macerie ma sulla propria responsabilità e con il pagare di persona, se necessario, per  ridarsi e ridare speranza. Una lettura giusta e meno superficiale della situazione fa emergere eccellenze importanti in atto in tanti ambiti del lavoro, della cultura, della ricerca e della formazione, del turismo e di altri importanti settori della realtà economica e sociale. L’Agorà intende far emergere queste realtà positive e propositive quali esemplari su cui scommettere e andare oltre il pessimismo per stimolare una ripresa morale e sociale che attivi l’intraprendenza, il coraggio e la spinta propulsiva delle “buone pratiche” – come si usa dire.

Richiamo appena per sommi capi alcune considerazioni fatte nell’incontro che abbiamo avuto di recente sull’Agorà con i responsabili delle 20 realtà ecclesiali più rappresentative sul territorio.

* Sostenere sul nostro territorio un ambiente sociale più fraterno, dove lo stile di vita di prossimità solidale si espande dai gruppi, realtà di servizi e volontari alle relazioni inter-familiari e di vicinanza: aiutino ogni cittadino a sentire la “città” come la sua “casa” e non un luogo estraneo… una comunità e non un contenitore anonimo di tante realtà, servizi e iniziative ma senza un’anima e un fine comune da perseguire uniti.

* Tenere in considerazione le ragioni di chi fa fatica e quelle della speranza che esiste comunque nei cuori e nell’azione di tante persone, famiglie, comunità e realtà che operano per gli altri (le “buone pratiche”).

* Non illudersi che prima o poi tutto ritornerà come prima: la trasformazione del sistema Paese  in atto è irreversibile ed esige pertanto nuovi stili di vita personale e sociale.

* Dare voce a tanti che vivono in solitudine i loro drammi e per dignità non tendono la mano o chiedono aiuto ai nostri Centri o parrocchie: dare voce anche a chi non ha voce – e sono tanti, perché di molte situazioni di grave disagio non si parla sui mass-media, che mettono il silenziatore a intermittenza. Quanti orfani “delle città” ci sono attorno a noi, stranieri non solo perché immigrati, ma perché ignorati e collocati ai margini della città che conta! Quante sofferenze urbane proprie della nostra città, povertà vulnerabili e fragili che nemmeno più chiedono aiuto e sono rassegnate a una vita marginale e assistenziale…

* Promuovere un nuovo welfare di comunità, non sostitutivo del diritto e della giustizia, di cui i poveri in quanto cittadini debbono poter usufruire.

* Educare a stili di vita più sobri e a quel vicinato e prossimità che creano una rete di amicizia e fraternità nel tessuto sfilacciato dei quartieri e delle realtà locali.

* Valorizzare l’apporto degli immigrati, che va promosso come un fattore di sviluppo positivo senza remore e con impegno di integrazione e collaborazione.

* Infine, l’avvio di un nuovo patto sociale e generazionale, perché nessuno si perda.

È decisivo per raggiungere questi obiettivi mantenere ferma la scelta prioritaria del programma pastorale  del decennio sulla educazione a vivere la propria piena umanità sia sul piano individuale che familiare e collettivo in Gesù Cristo Uomo nuovo  e salvatore.Per cui la formazione sulla fede rivolta in particolare alle fasce giovanili e  adulte della popolazione  è via da qualificare e potenziare  a tutti i livelli, quello parrocchiale, delle associazioni e movimenti, degli operatori pastorali, dei presbiteri, diaconi e consacrati.

Un nuovo sistema Paese

A monte, ma decisivo per la ripresa vera e sostanziale, sta l’impostazione di un nuovo sistema Paese nel suo complesso, che è in mano però alla politica nazionale, alle imprese e al mondo del lavoro, a un più equo fisco e alla lotta contro chi evade, al dovere di richiedere di più a chi ha di più e favorire una perequazione anche sul piano degli stipendi e dei guadagni finanziari.

A livello più locale, questo traguardo sarà possibile se tutte le componenti della cittadinanza, dalle forze politiche e sociali, alla Chiesa e al volontariato, al terzo settore, alle cooperative sociali e al mondo del lavoro industriale, sindacale e produttivo, al mondo della cultura… si impegneranno insieme e con concrete sinergie per sostenere sempre in ogni programma e iniziativa la centralità della persona di ogni cittadino, soggetto di diritti e doveri inalienabili e universali, che rompano ogni barriera e muro di indifferenza, rifiuto ed estraneità e promuovano unità, riconciliazione, giustizia e solidarietà.

 

Esame di coscienza

L’Agorà vuole anche attivare un comunitario e profondo esame di coscienza che, come cristiani e cittadini, siamo chiamati a fare, chiedendoci se stiamo facendo tutto il possibile per cercare di attuare questi obiettivi e di farlo uniti e insieme.

In particolare ci è richiesto:

– uno stretto collegamento e coordinamento nell’agire con realismo e speranza sul territorio, da parte di tutte le realtà sia religiose che laiche;

– la formazione ad essere volontari e operatori con valide e motivate ragioni di coscienza e – per i credenti – di fede. Dunque, qualificazione al fare e al saper fare bene, ma anche e prima ancora all’essere coerenti con la propria coscienza e il Vangelo non edulcorato e sminuito della sua forza profetica;

– la corresponsabilità nel conoscersi, familiarizzare e aiutarsi, sia per raggiungere uniti obiettivi di servizio comune, sia per agire insieme per non disperdere le forze e le risorse. Occorre pertanto  valorizzare quanto gli altri fanno come fosse fatto da noi, con stima e apprezzamento, ascolto e dialogo. È la via privilegiata della comunione, che si allarga sempre più a persone e realtà “altre” ma ugualmente impegnate nel sociale;

– essere per tutti portatori di speranza affidabile che si radica nella fede in Cristo e promuove la fraternità tra quanti operano nel sociale.

L’Agorà intende reagire allo scoraggiamento e alla “sindrome dell’ultima spiaggia” e innestare un movimento dal basso che via via faccia ripartire la fiducia in tanti e infonda la convinzione che è possibile superare l’ineluttabile non con la protesta, ma con la proposta, che mi auguro sia ascoltata e accolta dalla politica e da tutte le componenti della società civile ed ecclesiale.

 

Conclusione: I poveri e i nuovi poveri sono soggetti e cittadini protagonisti

L’Agorà dovrebbe avviare un cambiamento profondo dello schema mentale di tanti, che guardano ai poveri, ai cassaintegrati, alle famiglie in difficoltà come a destinatari di sussidi e relazioni  di carità e solidarietà: occorre che consideriamo ciascuno di loro un soggetto e cittadino a tutti gli effetti, rendendolo protagonista del proprio domani. Noi parliamo di loro come di gente che non ha, mentre noi abbiamo; che non conta, mentre noi contiamo; che non rende, mentre noi rendiamo… Dovremmo invece considerarci tutti soggetti e destinatari insieme, nessuno escluso, e far sì che ogni persona sia messa in grado di essere destinataria e soggetto di azione politica, sociale e spirituale, uno che riceve e dà, dà e riceve. Nella nostra fede – diceva l’apostolo Paolo – non ci sono più greci e latini, liberi e schiavi, ricchi e poveri, uomini e donne, perché siamo uno in Gesù (cfr. Col 3,11).

Purtroppo, oggi siamo ritornati a quel tempo in cui esistevano queste divisioni molto marcate nella società romana e greca. Se il cristianesimo è riuscito a superarle allora, può superarle anche oggi, perché a fondamento della sua vita e del suo messaggio c’è lo stesso Gesù Cristo come Salvatore. Ma bisogna ritornare a vivere con coerenza ogni esperienza umana secondo lo spirito della prima beatitudine, quella povertà di spirito che ci apre umilmente agli altri, supera forme di autoreferenzialità, parte dalle periferie, e va controcorrente senza paura delle conseguenze, denunciando, se necessario, le ingiustizie, ma sapendo pagare di persona per superarle.

+Cesare Nosiglia

Arcivescovo di Torino»

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