
La Y di carta straccia…e le chiudende in Sardegna.
Testo di Bruno Chiarlone Debenedetti
Dall’antico archivio cairese dei Sattamino che ebbi in dono dagli eredi Gallo, avevo scelto alcune lettere di un bel colore marroncino diffuso, scritte con grafia regolare e le avevo fotocopiate a colori.
Ognuna mi apparve come un sudario scritto su fazzoletti di memoria e allora vi incollai frammenti di carta da pacchi che velocemente forai con la biro per rendere ancora più cruenta quella sacralità di apparenze serena…
Nel caso specifico si vedono 25 righe di inventario tracciate dal viceparroco di Millesimo, il cairese don Giovanni Bonavita Sattamino che il re Carlo Felice di Sardegna provvide a nominare cappellano militare delle sue truppe regie nel 1823, con lettera spedita da Govone.
Lo stesso anno il re aveva provveduto a far applicare la sua legge per le chiudende in Sardegna, quei muri di confine costruiti da pietre che i pastori osteggiarono e i proprietari terrieri fecero edificare a loro piacimento spostando talvolta i confini…
Ora questi pezzi di carta stracciata e disposta in forma di Y può richiamare alla mente questi muri di confine, le chiudende sarde che tuttora esistono nelle campagne della Sardegna agraria.
Nota da Wikipedia:
Il cosiddetto editto delle chiudende, più precisamente “Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna“, fu un provvedimento legislativo emanato il 6 ottobre 1820 dal re di Sardegna Vittorio Emanuele I e pubblicato nel 1823.
Con questo atto si autorizzava la recinzione dei terreni che per antica tradizione erano fino ad allora considerati di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata.
L’editto mirava a favorire la modernizzazione e lo sviluppo dell’agricoltura locale, che versava in gravi condizioni di arretratezza, e nel suo passaggio più cruciale conteneva l’autorizzazione a qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d’abbeveratoio. Egual licenza era concessa ai comuni, per i terreni di loro proprietà, ed in tutti terreni chiusi in applicazione dell’editto era “libera qualunque coltivazione, compresa quella del tabacco“.