Tribunale di Milano Esposta a fumo passivo, iI datore paga al dipendente il danno «esistenziale»
Risarcimento di 10 mila euro al lavoratore che ha la postazione nella zona in cui i colleghi passano con la sigaretta accesa: l’omissione su di una condotta proibita dalla legge viola un diritto fondamentale
Per anni è stata esposta al fumo passivo delle sigarette dei suoi colleghi vigili, e per questo il Comune dovrà risarcirla con 10mila euro.. A tanto ammonta il risarcimento del danno non patrimoniale da fumo passivo liquidato al lavoratore dipendente: l’inerzia del datore che non risulta in grado di far rispettare il divieto in modo da non nuocere ai dipendenti riguarda una condotta espressamente vietata dalla legge, la 3/2003, e ostacola l’esercizio da parte del prestatore d’opera di un diritto fondamentale quale quello garantito dall’articolo 4 della Costituzione. È quanto ha sentenziato in agosto il tribunale di Milano (giudice Riccardo Attanasio).
Il giudice di merito, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” , ha accolto nella parte del danno, definito esplicitamente «esistenziale» nel dispositivo, il ricorso della dipendente comunale.Non si configura il mobbing da parte dell’amministrazione nelle condotte denunciate dalla lavoratrice, nell’ambito di un lungo e complesso rapporto con l’ente. Fatto sta che trova invece ingresso la censura sul danno da fumo passivo che ha provocato alla vigilessa cefalea, difficoltà respiratorie e bruciore agli occhi, certificati dai medici. Il tutto perché la postazione della lavoratrice al comando è costituita da uno spazio ricavato da un corridoio che è utilizzato dai colleghi per andare a fumare all’esterno: come confermano i testimoni è ben possibile che altri dipendenti passino nei pressi con la sigaretta accesa o si fermino a tirare le boccate proprio in prossimità dell’ingresso. Di fronte alle lamentele dell’interessata nulla ha fatto l’ente datore per ottenere il rispetto del divieto da parte degli altri lavoratori. Il disagio patito dalla dipendente comunale, scrive il giudice, è «causa di possibili danni alla salute nel lungo periodo» e sicuramente conculca l’esercizio del diritto al lavoro che, ricordiamolo, consente la «libera espressione della personalità nelle formazioni sociali»: determinante risulta l’omissione dell’amministrazione nel pregiudizio di natura non patrimoniale patito dalla vigilessa e che deve ritenersi sia stato liquidato in via equitativa. Le violazioni di cui si sono resi responsabili alcuni vigili, gli stessi che sono chiamati poi a multare i locali pubblici in cui qualcuno fuma nonostante il divieto, sono proibite dal comma 20 dell’articolo 52 della legge Finanziaria 2002, con multe che variano da 25 a 250 euro. Il doppio se la violazione è commessa in presenza di una donna in evidente stato di gravidanza o di bambini fino a dodici anni.
Lecce, 17 settembre 2014
Giovanni D’AGATA