Sclerosi Multipla e CCSVI: un caso di conflitto d’interessi di un neurologo
In questi giorni una nota neurologia dell’Università di Chieti nel corso di un’intervista con l’emittente televisiva Rete 8 (http://youtu.be/MkEkGxiSN5Q) ha espresso critiche al cosiddetto “Metodo Zamboni” (peraltro senza un contraddittorio) http://youtu.be/IeXNHKQZoZs).
Visto che l’interessata risulta avere un importante conflitto d’interessi per via dei suoi rapporti con le principali case farmaceutiche che si occupano di sclerosi multipla (http://www.neurology.excemed.org/en/neurology/meetings/symposia/symposia/faculty-disclosure.html), riportiamo in questa sede il recente ed interessante articolo (http://cp.neurology.org/content/4/2/164.extract ) pubblicato sulla rivista scientifica Neurology Clinical Practice della prestigiosa American Academy of Neurology ed intitolato “Relationships between physicians and Pharma. Why physicians should not accept money from the pharmaceutical industry” (Rapporti tra medici e case farmaceutiche. Perché i medici non dovrebbero accettare denaro dall’industria farmaceutica).
Secondo il prof. Carl Elliott, docente del Centro di Bioetica dell’Università del Minnesota (USA), se abbiamo imparato qualcosa dal valore del contenzioso decennale, è che l’industria farmaceutica paga la grande maggioranza dei medici per una ragione: per vendere al mercato i loro farmaci.
E perché avremmo mai dovuto pensare diversamente? Le case farmaceutiche non sono enti benefici. Esse non operano nell’ambito dell’istruzione, o della filantropia, o della riduzione della povertà, né tanto meno – diciamoci la verità, nell’ambito dell’assistenza sanitaria. La loro attività è produrre e vendere farmaci. A differenza di molte altre aziende, tuttavia, le case farmaceutiche devono operare attraverso un intermediario per vendere i loro prodotti. Questo pone i medici in una posizione di singolare fiducia. Si collocano tra le corporazioni e i vulnerabili e spesso disperati pazienti, che quelle corporazioni chiamano “clienti”.