Irlanda. Clinicamente morta ma incinta e tenuta in vita da macchine. L’Alta Corte deve decide se staccarle
L’Alta Corte composta da tre giudici in Irlanda, ha l’arduo compito di decidere in questi giorni circa il caso di una donna clinicamente morta ma incinta ed ancora collegata a delle macchine, per capire se sia il caso di continuare a tenerla in vita e dare al feto sopravvissuto e di solo 17 settimane, una possibilità di nascere.Sono ben cinque i gruppi di avvocati che rappresentano la donna, il suo feto, i suoi genitori, il suo compagno e l’ospedale che hanno espresso le proprie motivazioni innanzi all’Alta corte di Dublino, tanto che la vicenda ha riacceso le polemiche nel Paese sull’aborto. La decisione dei tre giudici potrebbe arrivare a breve e contro il verdetto si potrà presentare ricorso in Corte suprema.Il problema giuridico, ma anche morale, sta nel fatto che per la Costituzione irlandese la vita della donna e quella del suo feto dovrebbero per legge godere della stessa protezione. E’ già accaduto che in passato gli ospedali irlandesi hanno già cercato di tenere in vita donne incinte collegate ai macchinari per la sopravvivenza, anche se cerebralmente morte, nella speranza di salvare il feto. Negli ultimi due casi, avvenuti nel 2001 e 2003, i feti morirono dopo una settimana o due.
Nel caso di questo Natale, i genitori e il compagno della donna hanno chiesto espressamente che l’ospedale stacchi le macchine. Al contrario i difensori del centro medico se da una parte hanno stabilito che la donna è già clinicamente morta, dall’altra hanno chiesto di non staccare la spina perché temono che venga intentata una causa perché i macchinari sono essenziali per la sopravvivenza immediata del feto.La legge irlandese sembrerebbe orientata al fatto che, se verrà ordinato di porre fine alle funzioni vitali della paziente, i medici cercheranno di tenere il feto in vita per altre 17 settimane per poi farlo nascere.I medici irlandesi hanno chiesto per decenni leggi più chiare sulle occasioni in cui possono porre fine a una gravidanza. Al momento le leggi consentono le interruzioni solo quando ritenute necessarie per salvare la vita della donna. Ogni anno, in media 4mila donne irlandesi si recano in Inghilterra per abortire.In Europa, quindi, si pongono ancora problemi per la difformità legislativa circa l’aborto, anche se, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti” questi sono casi limite in cui, molto spesso l’aspetto etico e l’opinione pubblica possono influenzare le difficili decisioni che i giudici sono chiamati ad affrontare.
Lecce, 25 dicembre 2014
Giovanni D’AGATA