Editoriali

Programma ricco al Cinema Trevi da domani fino alla fine del mese

Cinema-Trevi-300x199Nel programma del Cinema Trevi  di questa ultima settimana di febbraio troviamo  incontri con:  Liliana Cavani, Franco Nero, Marco Bellocchio e Paola Pitagora, solo per citarne alcuni.  Si conclude la rassegna dedicata a Massimo Girotti e la partecipazione di  Roberto Liberatori agli incontri.  A partire da martedì prossimo ci sarà una giornata dedicata a Damiano Damiani e al libro curato da Christian Uva, Damiano Damiani. Politica di un autore. Poi il programma prosegue con una riflessione sulle particolarità di una città come Parma, per concludere con due giorni in compagnia dell’attrice Paola Pitagora.

 

sabato 21 febbraio

 

ore 16.30 La strada lunga un anno di Giuseppe De Santis (1958, 143’)

«Un affresco sul mondo contadino che il regista è costretto a girare nell’ex Jugoslavia, perché boicottato dai produttori a causa della sua militanza politica e del suo rifiuto di portare i contenuti verso quelli più evasivi della commedia di costume. La strada lunga un anno racconta, infatti, la storia della rocambolesca costruzione di una strada da parte di vigorosi contadini che si ribellano a un destino di povertà. […] Per il ruolo di Chiacchiera, un simpatico anarchico che affronta la vita con allegria, De Santis vuole con fermezza l’amico Girotti, che riesce a valorizzare in un registro recitativo insolito, utilizzando l’espediente di renderlo goffo e adorabile allo stesso tempo. […] Girotti si presenta sullo schermo, fin dalla prima inquadratura, completamente diverso e insolito. Mai era apparso così smagrito e imbruttito in nessun film, tanto da confondersi, con le sue ossa aguzze e la barba scura e incolta, con le fisionomie meno raffinate o sgraziate delle comparse slave, con impressi nel volto i segni della povertà» (Liberatori).

 

ore 19.00 L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo (1976, 134’)

«Tra i primi registi a raccogliere la sua aspirazione a più dignitose produzioni è Giuliano Montaldo che lo sceglie per il ruolo del partigiano Palita in L’Agnese va a

morire. In realtà Montaldo arriva a lui con un certo imbarazzo. La parte è piccola, ha paura di non far cosa gradita all’attore di Visconti e Pasolini con un ruolo marginale. Ma Girotti accetta, con sua sorpresa, e generosamente, sapendo che il film conta su un budget modesto. Altri avevano tentato, senza riuscirci, di portare sullo schermo il libro di Renata Viganò, il racconto del risentimento popolare verso l’offesa dell’invasione nazista. […] Il personaggio di Palita riporta Girotti tra il fango alto e vischioso della pianura padana, in quegli stessi luoghi dove il Gino Costa di Ossessione aveva vissuto la sua cruenta storia d’amore. Montaldo lo cita figurativamente quando l’attore, più vecchio e più saggio, appare sullo schermo con un vecchio Borsalino in testa» (Liberatori).

Ore 21.30 incontro con Liliana Cavani e Roberto Liberatori

A seguire  Interno berlinese di Liliana Cavani (1985, 121’)

«Nel cinema, invece, Girotti fornisce una replica perfetta dell’immagine di uomo elegante e sofisticato per il film Interno berlinese di Liliana Cavani. La regista di Portiere di notte e La pelle aveva ricostruito l’ambiente sociale delle ambasciate e dell’aristocrazia del capitale alla vigilia della seconda guerra mondiale, per raccontare la storia di uno scandalo che travolge la vita di una giovane coppia quando, nel suo ménage, compare una bella giapponese che finisce per sedurli. […] Il rapporto instaurato con la Cavani è ottimo: l’attore si sente apprezzato e benvoluto anche se il suo ruolo nel film, quello di un ufficiale della Wehrmacht, vittima del pesante rigore moralistico della Germania nazista, è minimo. Accarezzato dalla macchina da presa, Girotti fa la sua piccola apparizione nella sequenza della festa in cui viene consegnato, assieme al giovane amante, nelle mani del capo della polizia come un perfetto capro espiatorio. Lo smoking impeccabile e il piglio aristocratico trasmettono una tale maestà da fissare alla sua nuova immagine di attore quella di un’umanità che trascorre l’esistenza all’insegna della distinzione» (Liberatori).

 

domenica 22 febbraio

 

ore 17.00 incontro con Massimo Guglielmi e Roberto Liberatori

a seguire Rebus di Massimo Guglielmi (1989, 124’)

«Lo convince invece Rebus, il film debutto di Massimo Guglielmi da un racconto di

Antonio Tabucchi, con una produzione ricca e attori di calibro; qui, sempre elegantissimo, con il volto segnato da una malcelata inquietudine, appare nelle vesti di un aristocratico francese, al centro di un ricatto, costretto a sopportare per amore i tradimenti della giovane moglie Charlotte Rampling. L’attrice di Il portiere di notte, che in quegli anni godeva di una rinnovata notorietà, è solo l’ultima di una serie di partner eccezionali con le quali Girotti aveva avuto l’occasione di recitare nella sua decennale carriera» (Liberatori).

 

ore 19.15 Dall’altra parte del mondo di Arnaldo Catinari (1992, 89’)

«L’occasione è l’esordio alla regia del direttore della fotografia Arnaldo Catinari, che firmerà le luci di alcuni tra i più bei film del cinema italiano. Dall’altra parte del mondo non è tra i più importanti della sua carriera, ma permette a Girotti di tornare ad essere protagonista di un film. Il suo ruolo è quello di Aureliano, un vecchio silenzioso che, dopo una vita spesa in Africa, si guadagna da vivere dipingendo ritratti di donne di colore. Nel film gli accade di tutto: di uccidere due uomini e poi spacciare droga per salvare una donna africana dai suoi sfruttatori. L’aspetto più interessante è che, con questo film, Girotti prende confidenza con il personaggio di un uomo anziano che fa da mentore a una donna giovane, personaggio che sarà ripreso anni dopo per il film che coronerà la sua carriera d’attore. Per il resto, la pellicola emoziona nelle scene in cui Girotti ritrova sul set dopo quarant’anni l’attrice Marina Berti, la sua partner di Ai margini della metropoli, che nel film interpreta il ruolo di un’amante giovanile. […] Il loro nuovo e breve incontro è segnato da un’ombra di malinconia e dalla grazia e l’intelligenza che i due attori sanno dare ai loro personaggi» (Liberatori).

 

ore 21.00 La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek (2003, 107’)

«L’offerta di Ozpetek e Romoli arriva a Girotti sulla soglia degli ottantaquattro anni e dopo un periodo di inattività: due anni lunghissimi e penosi per un attore che non riusciva a stare lontano dal set e nel corso dei quali aveva in cuor suo abbandonato l’idea di una parte da protagonista […]. Avrebbe dato animo al personaggio centrale di Davide, un uomo alle prese con i meandri della memoria, una memoria dolorosa e piena di rimpianti, che fa da mentore a una giovane donna, incitandola a ritrovare se stessa e a pretendere una vita migliore. Accanto a lui attori giovani e popolari come Raoul Bova, Giovanna Mezzogiorno e Filippo Nigro, secondo uno schema efficace, che sarà una delle cifre stilistiche di Ozpetek, che unisce nuovi modelli divistici, vicini al pubblico delle sale, con vecchi leoni ruggenti» (Liberatori).

 

martedì 24 febbraio

Damiano Damiani. Politica di un autore

 

«Questo volume nasce in occasione di un convegno su Damiano Damiani (Damiano Damiani: tra politica dell’autore e autorialità politica, 7 giugno 2013, Teatro Palladium – Roma) curato dal sottoscritto nell’ambito della VIII edizione del Roma Tre Film Festival, evento ideato e diretto da Vito Zagarrio. Erano trascorsi appena tre mesi dalla scomparsa del cineasta friulano (7 marzo 2013) eppure si avvertiva già intensamente l’urgenza di affrontarne il profilo artistico e culturale attraverso una serie di apporti di diversa provenienza che potessero tentarne quantomeno un abbozzo della polimorfa fisionomia. Già, perché Damiani, a parte il meritevole omaggio dedicatogli in Friuli nel 2004 […], non ha goduto di particolare attenzione da parte della critica né tantomeno in ambito accademico. Il “problema” di Damiani è sempre stato quello, infatti, di rappresentare il perfetto artefice di una produzione filmica sfuggente a qualsiasi inquadramento categoriale, verso l’alto come verso il basso, e quindi tendenzialmente collocata, per comodità, nel vago orizzonte di un cinema cosiddetto “medio”. […] Ecco allora che parlare di politica di un autore, come recita il sottotitolo del volume, significa compiere un’operazione di ricognizione delle marche distintive di un particolare modo di intendere e di fare il cinema sempre funzionale, nondimeno, all’accordo dissonante, ma produttivo, tra arte e artigianato» (dalla Nota introduttiva di Christian Uva, curatore del volume Damiano Damiani. Politica di un autore, Bulzoni, 2014).

ore 17.00 Il giorno della civetta di Damiano Damiani (1968, 109’)

«Nel febbraio 1968 un’immagine inedita buca gli schermi italiani: in un paese siciliano, un boss mafioso entra in una sede della Democrazia Cristiana per mostrare le sue amicizie potenti al capitano dei carabinieri che lo sorveglia […]. È una delle sequenze chiave di Il giorno della civetta di Damiano Damiani, e crea non pochi problemi al film fin dal momento delle riprese […]. Il giorno della civetta è anche il film che definisce Damiani come autore agli occhi del pubblico e della critica» (Pezzotta).

 

ore 19.00 Quien Sabe? di Damiano Damiani (1966, 122’)

«Quién sabe? non è un western. Come paradigma dell’ignoranza dei critici, ribadisco che quando loro vedono uno a cavallo definiscono il film un western. Allora anche Viva Zapata, anche Viva Villa, anche i film del cinema nuovo brasiliano sarebbero dei western? Il western appartiene alla cultura protestante nord-americana. Se uno esce dalla cultura protestante nordamericana non fa più un western. […] Dire di un film che si svolge nel Messico che è un western significa non aver capito nulla […]. Quién sabe? è un film sulla rivoluzione messicana, ambientato nella rivoluzione messicana, e quindi è chiaramente un film politico e non poteva non esserlo» (Damiani). «È così che, qualificando il regista friulano come un professionista capace di mantenersi equidistante tra le regole dei generi e l’aspirazione autoriale, Quién sabe? si dimostra film politico ad un doppio livello: non solo in quanto tematicamente votato ad una precisa presa di posizione ideologica, ma anche perché film fatto politicamente, ossia attraverso una forma filmica costantemente pensata e interrogata nella sua organicità rispetto ai contenuti veicolati» (Uva). Versione restaurata e integrale a cura della Cineteca Nazionale per Venezia Classic, sezione della Mostra del Cinema di Venezia 2013.

 

ore 21.00 incontro con Nino Celeste, Elio Matarazzo, Christian Uva, Vito Zagarrio moderato da Emiliano Morreale

nel corso dell’incontro verrà presentato il volume, a cura di Christian Uva,

Damiano Damiani. Politica di un autore

a seguire Io ho paura di Damiano Damiani (1977, 120’)

«Il brigadiere Ludovico Graziano (Volonté), protagonista del film, è un poliziotto atipico fino a quel momento per il cinema italiano, colonizzato principalmente da ispettori e magistrati. Bassa forza di polizia, poco alfabetizzato, senza un orientamento politico definito, si trova a contestare i superiori che secondo lui mandano gli agenti a farsi ammazzare senza protezione alcuna nella lotta alla malavita comune e al terrorismo. Per calmare le acque ed evitare sanzioni disciplinari, Graziano viene assegnato dal capitano La Rosa come scorta al giudice Cancedda, interpretato dall’attore bergmaniano Erland Josephson. Il magistrato in un primo tempo rifiuta la scorta: “Se qualcuno ci spara addosso in un certo senso vuol dire che siamo già morti” dice ad un perplesso Graziano. Poi il magistrato, colpito dall’acume e dall’umanità di questo poliziotto del sud, si convince ad avere la protezione di Stato. L’agente capisce ben presto i pericoli che Cancedda sta correndo, a mano a mano che scopre verità che scottano dietro i depistaggi e gli omicidi su cui il giudice deve fare il suo rapporto. […]. La domanda che pone la trama di Io ho paura è: fino a dove si è disposti ad arrivare per fare il proprio dovere? Ma anche: fin dove si deve arrivare per non farlo fino in fondo quando si fa parte di un sistema che non si riesce a controllare?» (Gargiulo).

Ingresso gratuito

 

mercoledì 25 febbraio

 

Parma e il cinema

 

Il toccante documentario Poltrone rosse. Parma e il cinema offre l’occasione per riflettere su una città particolare come Parma. Parma è stata una delle prime città a presentare i film dei fratelli Lumière. A Parma videro la luce due importanti riviste cinematografiche: «La critica cinematografica» e «Sequenze», che ebbero vita breve, causa problemi economici, ma riuscirono ad apportare un notevole prestigio alla città. A Parma furono travolti dalla passione del cinema il grande critico Pietro Bianchi, Attilio Bertolucci e i figli Bernardo e Giuseppe,    Luigi Malerba, Enrico Medioli, Franco Nero, Vittorio Storaro, nonché il regista stesso del presente documentario, Francesco Barilli. Parma è poi la città di Verdi, le cui musiche sono legate a molti film. L’effetto nostalgia è ancor più drammatico se confrontato con la realtà attuale, segnata dalla chiusura di storiche sale.

ore 17.00 La parmigiana di Antonio Pietrangeli (1963, 112’)

«La giovane Dora (Spaak), dopo la prima esperienza con un seminarista, accumula avventure amorose: incapace di rinchiudersi nella mediocre normalità del matrimonio con il fidanzato questurino (Buzzanca) e delusa dall’altrettanto mediocre opportunismo dell’amato fotografo (Manfredi), sceglie una vita di rischiosa solitudine. Con un’efficace narrazione incastonata di flashback, Pietrangeli adatta il romanzo di Bruna Piatti e traccia, senza moralismi e con molta ironia, un quadro malinconico e graffiante della meschinità e degli egoismi piccolo-borghesi che impregnano la provincia: al centro spicca il personaggio emblematico di Dora, segnata da una spregiudicatezza che confina con l’indifferenza, ma che se accetta i compromessi fisici con l’universo maschile, riesce comunque a rispettare “un suo codice etico, più istintuale che morale” (Detassis)» (Mereghetti).

 

ore 19.00 Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci (1964, 111’)

Il giovane Fabrizio, rampollo di un’agiata famiglia parmigiana, rinuncia a sposare la fidanzata per seguire le sue convinzioni politiche e dopo la morte del suo amico Agostino si lega sentimentalmente a una giovane zia. La sua spinta rivoluzionaria a poco a poco si spegne. «È importante guardare in faccia la propria ambiguità e cercare di superarla. Sono ambiguo perché sono un borghese, come Fabrizio nel film, e io faccio dei film per allontanare dei pericoli, delle paure che ho, paura della debolezza, della viltà. Perché io esco da una borghesia terribile perché è astutissima, perché ha previsto tutto e perché accoglie a braccia aperte il realismo e il comunismo. E questo liberalismo è evidentemente la maschera della sua essenziale ipocrisia» (Bertolucci). Da segnalare la presenza di Morando Morandini nel ruolo di Cesare.

Per gentile concessione di RIPLEY’S FILM

 

ore 21.00 incontro con Lorenzo Baraldi, Francesco Barilli,

Michele Guerra, Franco Nero

moderato da Marco Giusti

 

a seguire Poltrone rosse. Parma e il cinema di Francesco Barilli (2014, 90’)

Poltrone rosse. Parma e il cinema racconta il periodo floridissimo dal punto di vista cinematografico e ormai finito da tempo che ha caratterizzato per un periodo Parma, quando registi famosi si trovavano nella città di provincia per girare i propri film.

«Ho dedicato questo lavoro ai cinquant’anni del primo film che mi ha visto protagonista: Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci. Ho voluto raccontare la storia stupenda che ha coinvolto me, tanti cari amici e la mia città, Parma. Quasi un lavoro di “archeologia cinematografica” alla ricerca di reperti rari e sconosciuti al grande pubblico. Una lunga e assidua ricerca durata anni che mi ha assorbito totalmente ma che mi ha ripagato facendomi rivivere emozioni dimenticate» (Barilli).

Ingresso gratuito

 

26-28 febbraio

Paola Pitagora tra tradizione e contestazione

 

«Cominciavo a realizzare che, senza l’ombra di una raccomandazione, la Rai puntava su me e Nino Castelnuovo come protagonisti. Mi trovavo in mezzo a una dicotomia nella mia professione e nell’immagine: I pugni in tasca, eversiva opera presessantottina e Manzoni, lo scrittore cattolico croce di tutti gli studenti». Così scriveva Paola Pitagora nel suo magnifico memoir autobiografico Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo (Sellerio, 2001), descrivendo il suo stato d’animo alla notizia che era stata scelta a incarnare l’ormai leggendaria Lucia Mondella nel più atteso sceneggiato italiano, I promessi sposi. Paola Pitagora è l’antidiva per eccellenza. Il suo tratto distintivo è l’eclettismo, come le (poche) vere attrici a 360 gradi. Paola si è dimostrata inoltre un’ottima scrittrice, testimone sensibile e attenta del proprio tempo (in primis, degli artisti della Scuola Romana). Anche in televisione, come in teatro, ha dimostrato di essere un’artista “trasversale” di tutto rispetto: da A come Andromeda a Incantesimo.

Rassegna in collaborazione con Rai Teche

 

giovedì 26 febbraio

 

ore 17.00 Il caso Lafarge di Marco Leto (1973, 222’)

La giovane e bella Madame Lafarge (Paola Pitagora), neo sposa del conte Lafarge (Cesare Barbetti), è disprezzata dalla suocera (Evi Maltagliati) e dalla cognata (Claudia Caminito), che sono le prime ad accusarla di omicidio quando, dopo una lunga malattia, Charles muore e sono rinvenute nel suo corpo tracce di arsenico. Marie Cappelle Lafarge (Paola Pitagora) è così imputata in un processo di grande risonanza sull’opinione pubblica, pieno di colpi di scena.

Per gentile concessione di Rai Teche

ore 21.00 incontro con Marco Bellocchio, Angelo Guglielmi, Paola Pitagora moderato da Andrea Schiavi

 

a seguire Dialogo di Eros Macchi (1971, 45’)

«La premessa […] è che faccio un mestiere imprevedibile, in cui si lavora molto con l’inconscio. Ti faccio un esempio emblematico: un’opera di Natalia Ginzburg che recitai con Renzo Montagnani per la televisione, negli anni settanta. C’era un’antipatia reciproca con Montagnani, tant’è che il regista Eros Macchi si rivolgeva o all’uno o all’altro, perché tra di noi non c’era nessun rapporto. Ebbene, incredibile a dirsi, alla fine è venuta fuori la cosa più bella che ho fatto in tv. L’avrei abbracciato Renzo, si era creata alfine una grande complicità. Quindi vedi che è un mestiere misterioso: fai una cosa con la mano sinistra, ma poi inspiegabilmente ti resta nel cuore, senti che è venuta veramente bene» (Pitagora).

Per gentile concessione Rai Teche

Giornata a ingresso gratuito

 

venerdì 27 febbraio

 

ore 17.00 I promessi sposi di Sandro Bolchi (1967, prima puntata, 67’)

«Venni chiamata dalla Rai a fare il provino, mentre ero ancora in scena al Sistina, con Ciao Rudy, con la testa piena delle musiche scatenate di Armando Trovaioli. Mi sentivo talmente lontana dal ruolo di Lucia Mondella, che avrebbe inevitabilmente segnato un’identificazione con l’attrice che l’avrebbe interpretata, da presentarmi al provino scettica e un po’ in antitesi alla Lucia che immaginavo. […] Quando mi comunicarono che avrei interpretato quella parte, restai attonita, corsi in teatro nel camerino di Paola Borboni, e le chiesi un parere: “Bacia la Madonna!” mi ordinò porgendomi una medaglietta che portava al collo, “Hai una palla di fuoco tra le mani, giocatela bene”» (Pitagora).

Per gentile concessione di Rai Teche – Ingresso gratuito

 

ore 18.15 Guido Gozzano di Gianni Casalino (1983, 50’)

Sceneggiato con Roberto Herlitzka e Paola Pitagora sul celebre poeta crepuscolare piemontese.

Per gentile concessione di Rai Teche – Ingresso gratuito

ore 19.15 Tenderly di Franco Brusati (1968, 99’)

«Jolanda e Franco, divisi da una cronica incomprensione, si rivedono ogni tanto finché decidono di sposarsi. All’ultimo minuto lei cambia idea. Si ritrovano anni dopo. F. Brusati resuscita la commedia sofisticata americana, aggiornandola alla società italiana degli ultimi anni ’60» (Morandini). Con Virna Lisi ,George Segal e Paola Pitagora.

Ingresso gratuito

 

ore 21.00 Fermate il mondo… voglio scendere! di Giancarlo Cobelli (1968, 90’)

La fantasia al potere. Alcuni giovani contestatori vivono in un surreale appartamento. Uno di loro tenta con successo la strada della televisione, venendo stritolato dagli ingranaggi del potere. Il poliedrico talento di Cobelli, le musiche di Piccioni, la fotografia di Dario Di Palma, il montaggio di Franco Arcalli, un inedito Buzzanca e un’incredibile Paola Pitagora per uno dei più bizzarri esordi del cinema italiano.

 

sabato 28 febbraio

 

ore 17.00 Senza sapere niente di lei di Luigi Comencini (1969, 97’)

Maria Mancuso, anziana madre di cinque figli, muore improvvisamente poche ore prima della scadenza della seconda rata di una sua altissima assicurazione sulla vita. Uno dei funzionari della compagnia assicuratrice, il giovane avvocato Nanni Brà, si assume il compito di indagare su quella morte piuttosto misteriosa e a tal fine si mette in contatto con i figli della scomparsa, a cominciare dalla bella Cinzia, della quale non esita a diventare l’amante pur di ottenere qualche utile informazione. A poco a poco, però, un amore autentico si sostituisce alla finzione e Nanni rivela lealmente alla ragazza le vere ragioni per le quali all’inizio aveva cercato la sua compagnia. «Sul filo assai delicato di un intreccio “giallo” […] sono contemporaneamente in ballo la verità sulla morte di un’anziana signora e la verità di un amore. […] Anche in questo caso bisogna dire che Comencini se l’è cavata in modo senz’altro egregio, con il merito, oltre tutto, di aver saputo guidare Paola Pitagora in un’eccellente interpretazione, ora di cuore ora di testa, ambigua cioè come appunto la parte comporta» (Meccoli). Nastro d’argento a Paola Pitagora come miglior attrice protagonista.

 

ore 19.00 I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965, 109’)

«Mi era stato recapitato un copione, una sceneggiatura che alla prima lettura pareva sconcertante, una cupa storia di famiglia ambientata in provincia, con particolari horror. L’autore era un esordiente che ne avrebbe curato anche la regia, Marco Bellocchio. Era un film a bassissimo costo, solo un rimborso spese per il periodo di lavorazione che avveniva a Bobbio […]; ero indecisa se accettare, il bisogno pecuniario era sempre cronico, stavo per scegliere una commedia per la televisione […]. Renato [Mambor, n.d.r.] volle leggere quel copione, titolo provvisorio Igiene famigliare poi divenuto I pugni in tasca, e mi disse con aria noncurante: “Ho l’impressione che sia una storia più interessante di quello che sembra”. […] Bellocchio sul set aveva una sicurezza inaspettata, sapeva quello che voleva e dirigeva gli attori con la gioia e l’urgenza di un bambino che organizza il gioco sospirato. […] Non immaginavo, e penso nessuno di noi avvertisse che I pugni in tasca avrebbe avuto un effetto dirompente nel cinema italiano, addirittura anticipatore della rivolta studentesca del ’68» (Pitagora).

ore 21.00 Tutti gli anni, una volta l’anno di Gianfrancesco Lazotti (1994, 88’)

«Un film-commedia dal retrogusto amaro, scandito a lungo da dialoghi spiritosissimi, che riesce ad amputarsi della solita griffe giovanottistica. Con un taglio tutto teatrale, ma non in senso provincial-claustrofobico bensì all’americana, alla Neil Simon, si racconta di una rimpatriata tra vecchi amici […]che danno vita ad un concerto di sconfitte e rimpianti, meschinità e buffonerie, velleità ed incoscienze che sarebbe riduttivo definire senile. […] Ma resta la sostanza di uno spettacolo insolito, di gran ritmo, penetrante senza risultare didascalico, ammiccante senza risultare volgare, che gestisce un cast di esemplari professionisti, molti dei quali incredibilmente dimenticati o trascurati dal nostro cinema» (Caprara). Con Giorgio Albertazzi, Paolo Bonacelli, Lando Buzzanca, Paolo Ferrari, Vittorio Gassman, Paola Pitagora, Giovanna Ralli, Jean Rochefort.

Cinema Trevi, vicolo del puttarello 25 – Roma   tel: 066781206

Related Articles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close
Privacy Policy Cookie Policy