La Spoon River di Tarcisio Damizia
Anna Maria Farabbi, nella prefazione al libro di Tarcisio Damizia, La mia Spoon River (LietoColle) scrive : “Mi sono fermata tra le pepite di Damizia per l’originalità della forma: segmenti narrativi, strappi di prosa essenziale e nitida si intrecciano come filamenti di trame esistenziali. Ciascuno è appeso significativamente al vuoto vasto della pagina, con un nero minimo di parole, sufficienti a tracciare le impronte di un individuo, di un passeggero, di un transito. Il guscio narrativo dei testi include una polpa poetica, una scansione interna poetica, respiri, pause, accenti, toni, cromatismi, scelte sintattiche versificatorie. Eppure consonanti e vocali si distendono su un piano orizzontale da margine a margine, come se si dovesse congiungere nella lettura e nella scrittura una sponda all’altra, come se le parole in fila indiana dovessero necessariamente posarsi sul piano, per consegnarci forse un senso più realistico, una forza oggettiva, estranea a ogni caduta.”
Ci sarebbe ben poco da aggiungere se la lettura non attuasse ogni volta il magico risveglio delle nostre emozioni che, si sa, sono sempre diverse e personali …
Oggi c’è ressa al nostro camposanto, arrivano due bare. Un vecchio stanco, di quasi novanta anni, che da lungo tempo giaceva e si spegneva.
Un bambinetto schiacciato da una macchina mentre, i capelli al vento, correva e rideva.
Parlano i morti nel libro di Tarcisio Damizia, un po’ alla maniera di Edgar Lee Masters. Osservano la vita, la raccontano e si raccontano da un identico destino.
Tanta amarezza, certo. Ma acquietata dal respiro della buona Poesia.
LietoColle