Un nuovo Patto Sociale per salvare l’Allevamento
Che restituisca alla Cultura Rurale la sua prerogativa di produttivita’.
L’allevamento in Italia sta morendo e con esso sta morendo anche un rapporto sano con gli animali e la nostra Cultura Rurale, le nostre radici su cui abbiamo edificato il nostro presente, che a questo punto, rischia di non avere un futuro!
E’ da anni che FederFauna segnala l’emergenza, quasi sempre inascoltata dalle Istituzioni, e non puo’ che farci piacere che un’Organizzazione importante come Coldiretti, in un’occasione cosi’ importante come l’apertura della Fieragricola di Verona, con il suo dossier “l’Italia in fattoria”, abbia dimostrato come “nelle fattorie italiane siano scomparsi 2 milioni di animali, con seri rischi di estinzione delle razze storiche, di spopolamento delle aree interne e montane, della perdita del primato dell’enogastronomia Made in Italy”.
Ringraziamo quindi Coldiretti, che forte si e’ fatta sentire, e speriamo che le Istituzioni ora aumentino i loro sforzi per salvare il settore, tuttavia ci sentiamo di segnalare ad entrambe che la battaglia non puo’ essere combattuta solo sul fronte delle norme comunitarie, perche’ il problema e’ anche sociale e culturale.
Iniziamo col dire che l’allevamento di bovini, ovini, suini e pollame non e’ un compartimento stagno dell’agricoltura, non solo perche’ legato in entrata alla produzione e commercio di foraggi e mangimi e in uscita alla produzione e commercio di carne, salumi, latte e formaggi, ma anche perche’ insiste nello stesso ambiente socioculturale in cui insistono tutti gli altri allevamenti e tutte le altre attivita’ con animali e tutte soggiacciono alle stesse regole burocratiche, sanitarie, urbanistiche, ambientali, ecc. e agli stessi costi, economici e non solo, che queste determinano.
Non e’ un caso che anche le cosiddette zootecnie minori, in cui si e’ specializzata FederFauna, versino nella stessa situazione di crisi delle sorelle maggiori: sono completamente scomparsi gli allevamenti di volpi e di chinchilla, sono quasi scomparsi quelli di oche, chiudono gli allevamenti di conigli, chiudono anche gli allevamenti cinotecnici o di altri pet, perche’ nonostante la filiera del pet sia florida, ormai la gran parte degli animali provengono dal mercato nero; i circhi con animali sono osteggiati dalle Amministrazioni, e’ difficilissimo, quasi impossibile, detenere, riprodurre e cedere legalmente animali esotici o ottenere una licenza di giardino zoologico. E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.
Cio’ non dipende solo dalla normativa comunitaria che consente di spacciare come “Made in Italy” prodotti importati dall’estero, per la mancanza di norme chiare e trasparenti sull’etichettatura di origine. Subiamo la concorrenza estera non perche’ gli stranieri siano piu’ bravi o perche’ le norme sul mercato consentano loro di invadere nostri spazi, ma anche, soprattutto, per il fatto che noi lasciamo loro degli spazi perche’ qui e’ diventato e diventa sempre piu’ difficile produrre!
Chi e’ che oggi, con due soldi in tasca e sano di mente, deciderebbe di aprire in Italia un allevamento, sia esso di vacche o di cardellini? Che ben che gli vada si trova gli animalisti a protestare davanti a casa il giorno dopo che ha chiesto i permessi, il giorno dopo ancora deve lottare con l’Amministrazione Comunale, l’Asl, l’Arpa e magari anche la Sovraintendenza e qualche altro ente per ottenerli, il giorno dopo ancora deve dotarsi di avvocati, geometri, architetti, periti per iniziare i lavori, quello dopo ancora deve produrre un tot di relazioni, certificazioni, certificazioni delle certificazioni, per poi, una volta aperto, trovarsi magari l’attivita’ bloccata un giorno dai Nas, l’altro dalla Forestale, l’altro dalla Finanza, l’altro dalla Provinciale, magari perche’ la Sig.ra Maria, che abita a un chilometro, denuncia odori o presenza di mosche o perche’ l’associazione animalista di turno vuol rubargli gli animali, mentre la Tv grida: “dagli all’allevatore, maltrattatore di poveri animali”….
Lo puo’ fare ormai solo chi ha le spalle veramente grosse, anche perche’ i problemi di cui sopra non si limitano alla fase iniziale, ma permangono per tutta la vita dell’azienda, e sono quelli che contribuiscono a far lievitare in maniera significativa i costi di gestione, penalizzandola sul mercato.
Tutto cio’ dipende da una vera e propria involuzione culturale avvenuta in Italia negli ultimi decenni, in cui sono fiorite attivita’ non produttive a scapito di quelle produttive.
Ecco perche’ FederFauna insiste sul fatto che la battaglia per salvare la zootecnia italiana non possa prescindere da quella per salvare la Cultura Rurale, restituendole le sue prerogative di produttivita’, e combattendo i falsi miti del progresso quali l’idea che la campagna sia il giardino dei cittadini, che il benessere dell’Uomo sia contrapposto al benessere animale e viceversa o l’idea che gli animali possano avere dei diritti anziche’ delle necessita’, l’idea che allevare sia un hobby piu’ che un lavoro, l’idea che il Veterinario sia un missionario che cura gli animali per dovere morale e non per essere giustamente pagato, insomma, riconducendo ai giusti valore e considerazione le parole “Lavoro, Produzione, Occupazione, Reddito” in tutte le nostre attivita’, valore che, in uno Stato come il nostro in crisi e pieno di debiti, non puo’ mai essere secondo ad altri!
Massimiliano Filippi
Segretario Generale FederFauna