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Cassazione: è violenza sessuale se il partner non vuole l’eiaculazione interna

coppiaCassazione: è violenza sessuale se il partner non vuole l’eiaculazione interna. La modalità con cui avviene il momento finale del rapporto sessuale, ossia l’eiaculazione, può trasformare un atto voluto in uno non voluto, determinando così il reato di violenza sessuale.

Costringere la donna al rischio di una gravidanza, mediante l’eiaculazione interna al termine del rapporto, costituisce violenza sessuale. Lo sancisce la Cassazione con la sentenza 9221/16, pubblicata il 7 marzo dalla terza sezione penale della Cassazione.

Secondo quando deciso dagli ermellini, rileva Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, nel rapporto sessuale il momento dell’eiaculazione non può essere considerato un segmento “neutro” dell’atto perché in determinate circostanze, ad esempio tra fidanzati, può trasformare un rapporto voluto in non voluto: il modo di conclusione del rapporto, infatti, ben può assumere un significato invasivo tale da incidere sull’iniziale libertà di autodeterminazione del partner. E dunque non si può escludere l’ipotesi di violenza sessuale laddove, anche di fronte a un rapporto consenziente se non addirittura desiderato, l’eiaculazione in vagina avviene contro la volontà della donna: la circostanza risulta sufficiente a caratterizzare in senso negativo il rapporto sessuale, che pure la partner aveva inizialmente accettato. Lei da tempo vuole lasciarlo e lui chiede un incontro di chiarimento: alla fine sarà accusato dalla ragazza di averla violentata.

Più volte la Cassazione ha ribadito che il consenso al rapporto sessuale deve permanere durante tutta la durata del rapporto stesso: per cui, sebbene inizialmente vi sia stato la volontà esplicita o implicita della donna all’unione, quest’ultima potrebbe ripensarci in qualsiasi momento, nonostante sia in atto la congiunzione fisica con l’uomo. Il consenso al rapporto sessuale può essere revocato anche nelle ultime frazioni di secondo. Allo stesso modo, secondo i giudici, il consenso deve investire anche le modalità finali del rapporto sessuale, ossia l’eiaculazione interna o esterna. Deve quindi darsi massimo peso alla mancanza di consenso sopravvenuta, “che non può essere posta nel nulla sol perché sul momento la ragazza non si sia resa conta di quanto accaduto”.

E ora è accolto il ricorso del procuratore generale della Repubblica contro il provvedimento del Riesame che escludeva la configurabilità del reato ex articolo 609 bis Cp. «Arbitraria e mortificante», scrivono gli “ermellini”, è l’affermazione del tribunale della libertà secondo cui l’eiaculazione interna avrebbe provocato alla ragazza soltanto un senso di rammarico, sulla base dell’sms inviato all’uomo, «quasi che il rapporto sessuale non tenesse conto anche del modo di conclusione». Anche a voler ammettere che il rapporto sia stato consenziente, scrivono i giudici di legittimità, non può non rilevarsi la mancanza di consenso sopravvenuta, «che non può essere posta nel nulla sol perché sul momento la ragazza non si sia resa conta di quanto accaduto». Anzi, c’è l’sms spedito dal giovane: «Ora ti ho rovinata». Il messaggino evidenzia l’atteggiamento prevaricatore dell’uomo che credeva di legare la donna sé, magari prospettandole il rischio di una gravidanza per farla tornare sulla decisione di lasciarlo.

Lecce, 7 marzo 2016                                                                                                                                                                                           

Giovanni D’AGATA  

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