Elegia della penombra urbana
I pilastri si raddoppiarono nella via dei portici e i campanili speculari divennero due sul fianco mastodontico della chiesa, le porte si affiancarono nella loro identicità, le immagini stampate si sovrapposero con angolazioni casuali, gli scritti antichi cambiarono verso e finirono sui corpi sconosciuti, sulle giacche chiare, sulle nuvole rigonfie, sulle tasche finte.
Il timore di smarrirsi in situazioni complicate fece scartare le analogie pericolose, gli agganci visuali, le teorie prospettiche, le occasioni speculari, le oscure ridondanze, gli echi più cupi, le cabale astruse, le ripetizioni differenti, gli angoli umidi di crepe antiche, le pareti curve e sgretolate dal vento di mare, i vicoli stretti, i portoni chiusi da tempo, le macchie sul selciato, i numeri pari sulle pareti, gli sportelli dei contatori del gas, gli intonaci scrostati…
Il giorno senza luce rientrava allo stesso modo nel disegno degli eterni archetipi in cui lo aveva già anelato e posseduto di quel diverso amore la nostra scrittura (J. L. Borges) e non sarà poi così impossibile cogliere, tra le vie più vecchie del centro storico, quel privilegiato lampo in cui la vita e il mondo si rivelano a tratti nella loro misteriosa e nuda verità (A. Tabucchi).
Alti nella penombra leggerai desolati specchi riflettono le notti e i giorni e le fotografie dei morti e il tenue ieri che le immagini racchiudono. Un giorno qualche estraneo spingerà la dura porta, uno sconosciuto ne aprirà la serratura… oltre la soglia chiara sta la casa, reale e misteriosa…
Da un fioco specchio sarà sorto quest’uomo grigio e austero ad imporci il suo passato di amarezza… ma non ci degneràa di un solo sguardo quello sguardo cieco… (Borges). Ogni sua parola, sebbene carica di secoli, darebbe inizio ad una pagina bianca e impegnerebbe l’avvenire. Potremmo concederci qualche capriccio giacché non saremmo giudicati per il testo ma per l’immagine indefinita e tuttavia ben precisa che si avrebbe di noi…
Bruno Chiarlone Debenedetti