Un titolo che ci è venuto in mente dopo aver sentito duettare, o se preferite duellare, Renzi ed Emiliano sul turismo appena due settimane fa alla Fiera del Levante.
Non c’è dubbio e bisogna rivendicarlo con forza, la Puglia negli ultimi 10 anni ha conosciuto una forte crescita. Le percentuali sono da sballo, i numeri assoluti un po’ meno perché partivamo da livelli molto bassi. Ma il vero risultato è un brand “Puglia” con un posizionamento inimmaginabile solo pochi anni fa, cosa che ci fa ben sperare ma che ci chiama anche alla sua difesa e tutela. La nostra regione rientra ormai tra le mete più ambite e quindi, a questo punto, sono necessarie politiche per mettere in sicurezza questo exploit, per prepararsi alle fasi successive. Innanzitutto la fase dei numeri, la Puglia nei grandi numeri è più desiderata che praticata e poi verrà quella successiva la fase del consolidamento.
Certo la ricetta non può essere quella di Briatore. Briatore ha fatto riferimento al lusso ma magari fosse questo. Il modello turistico che ha in mente Briatore è quello di una Puglia intesa come mero fondale per grandi strutture calate dall’alto e che nulla c’entrano col territorio. La nostra terra non diventerà la nuova Porto Cervo. Le parole di Briatore più che scandalizzare, devono fare da monito.
È evidente che a fronte della crescita repentina di questi anni, occorre sostenere il tessuto imprenditoriale e gli operatori con politiche che favoriscano sempre più la professionalizzazione, quindi il miglioramento della ricettività, della qualità dei servizi, bisogna mettere a sistema l’offerta reticolare e germogliata dal basso in questi anni, ma anche debellare la piaga degli operatori illegali. La Puglia è turisticamente competitiva se lusso e qualità sono quelle legate a percorsi esperienziali, di riscoperta e valorizzazione dell’enogastronomia, delle bellezze paesaggistiche e artistiche, come la realtà della Valle d’Itria.
Diversamente il rischio è che la Puglia diventi terreno di caccia per cordate di imprenditori interessati a impiantarvi megastrutture che snaturano e poco lasciano al territorio in termini di crescita e di ricchezza.
Infine, la questione referendum dal punto di vista del turismo. La riforma costituzionale ha tra i suoi obiettivi quello di superare la frammentazione di venti diverse strategie turistiche riassegnando allo Stato la competenza in materia di disposizioni generali sul turismo lasciando alle regioni il compito di dedicarsi alla valorizzazione e all’organizzazione regionale.
Oggi alle fiere internazionali che definiscono i flussi mondiali, ci presentiamo in 20 regioni con 20 politiche differenti e non riusciamo a competere ad armi pari con le altre grandi potenze del turismo mondiale.
Con l’aggravante, ed io ne sono fermamente convinto, che da una politica nazionale del turismo il più grande beneficiario sarebbe proprio il mezzogiorno le cui potenzialità sono enormi ed inesplorate e che di certo non possono essere attivate da politiche regionali”.