ALGERIA: È CACCIA ALL’UOMO NERO IMMIGRATO
Dal primo dicembre è in corso in blitz contro i migranti africani nei quartieri di Algeri, che vengono deportati in un campo a Tamanrasset 1900 km a sud per essere espulsi, senza alcuna spiegazione delle autorità algerine. Si tratta di ben 1400 i migranti subsahariani provenienti in maggioranza da Nigeria, Niger, Liberia, Camerun, Mali e Guinea.
Ad Algeri tutti i quartieri dove vivono i migranti dell’Africa subsahariana sono stati circondati dalla polizia. I migranti sono stati arrestati nelle loro case, nei luoghi di lavoro o per strada. Le retate non risparmiano le persone malate, gli anziani, le donne incinte, i bambini, gli immigrati regolarmente residenti, i richiedenti d’asilo e profughi.
Nel suo report, Human Rights Watch pubblicato ieri denuncia “l’espulsione massiccia e sommaria di migranti fra i quali uomini e donne che sono forse fuggiti dalle persecuzioni o lavorano in Algeria da anni costituirebbero una violazione dei loro diritti”. La HRW apporta che i gendarmi algerini hanno usato manganelli, gas lacrimogeno ed insulti nei confronti di numerose persone, in particolare delle donne e dei bambini per costringerli a montare sugli autobus, denunciando la gravissima dichiarazione di Farouk Ksentini, avvocato e presidente della Commissione nazionale consultiva di promozione e di tutela dei diritti dell’uomo in Algeria, (CNCPPDH), un’istituzione pubblica che dipende dalla Presidenza, che ha detto che “la presenza dei migranti e dei profughi africani in molte località del paese può causare problemi agli Algerini; egli espone, in particolare il rischio della propagazione dell’AIDS e altre malattie sessualmente trasmissibili”. L’avvocato ha aggiunto che “questa malattia è diffusa fra questa Comunità”. Cosi l’avvocato dei diritti umani incoraggia le autorità del suo paese ad espellere i migranti africani “per fermare questa catastrofe che c’è impostata”, ha detto.
Inoltre, le associazioni locali dei diritti dell’uomo hanno denunciato questi arresti massicci di migranti e la loro detenzione arbitraria e violenta. Il sindacato autonomo algerino, SNAPAP, ha denunciato “la più grande caccia all’uomo nero dopo l’indipendenza”.
Non è la prima volta che il governo algerino usa le maniere forti per rispedirli indietro, violando i diritti umani e ogni convenzione internazionale sui rifugiati.
Già nel 2012 un rapporto del Jesuit Refugee Service, presentato a Bruxelles, denunciava un aumento dei rimpatri forzati e delle violazioni dei diritti umani dei migranti in Algeria. Ma nulla è stato fatto né dall’ONU né dall’UE né dall’UA.
Don Mussie Zerai, sacerdote scalabriniano eritreo diventato un riferimento per molti profughi. In Algeria “Ormai non viene attuata nemmeno la Convenzione di Ginevra, che impedisce queste deportazioni di massa: non si verificano le reali situazioni e le condizioni di quelle persone e se hanno i requisiti per essere riconosciute come rifugiate”.
Lo scorso 30 settembre Amnesty International ha lanciato l’allarme in un rapporto sulle condizioni dei migranti subsahariani in Algeria, denunciando, oltre alle deportazioni le violazioni dei diritti umani, lo sfruttamento e il razzismo di cui sono vittima.
“Ad Algeri viviamo dentro i cantieri abbandonati, lavoriamo in quelli aperti, i padroni ci chiamano “schiavi”.
L’Algeria è firmataria della convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati. Questa convenzione impedisce gli Stati di espellere o di allontanare un rifugiato verso un luogo dove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate.