Editoriali

La società dell’ingrasso in Val Bormida Bruno Chiarlone Debenedetti

cartellini di Pennacchi
cartellini di Pennacchi

All’inizio sembrava che in Val Bormida si dovesse vitalizzare quel tanto che bastava per coprire l’arco dei vent’anni a venire.

Non tanto per migliorare la situazione contingente ma ciò che bastava per evolvere, sedimentare, trasformare, conservare lo stato vivente della società domestica.

Le invasioni pacifiche che venivano dal caldo suolo africano scorrevano ormai da anni verso nord, nord-est, ed avevano scavato lunghi canali di fuga protetta verso ogni direzione fredda.

Qualcuno era rimasto nei nostri luoghi temperati e si era incuneato nei punti di maggiore sforzo, negli interstizi scoperti, come scaglie preziose che rendevano sicure le posizioni e un forte equilibrio stabile.

Il turn-over era una performance giornaliera continua, work in process, attivo e vitale, dove le energie si rigeneravano con automatismi prevedibili e spalmavano tutto intorno beneficio a pioggia, costantemente e naturalmente, come prodotto lordo pro capite.

Altri corpi estranei dall’interno avevano tentato la barriera impenetrabile sobillando legami inventati e pretestuosi senza successo alcuno ed erano rimasti piastrellati sui luoghi improbabili diventando ben presto res nullius.

La forza invasiva dolce aveva creato effetti multi-strato di ampio spettro ed aveva cementato a massa critica anche le frivole utenze impreparate alla progressione cognitiva.

Nelle principali città era prevalso l’esodo verso le periferie, policentrico e centrifugo, con normale accelerazione perlopiù unidirezionale.

La società dei consumi si era sparpagliata verso i luoghi di basso consumo ed aveva rilanciato un modus vivendi insostenibile, pieno di smodato entusiasmo e improbabile equilibrio.

I barbari scuri avevano intrapreso una via alla convivenza consapevole, assorbendo in tempi brevissimi le coordinate essenziali; alcuni portandocalce dal Marocco per pannelli d’arte morellesca in surrogazione dell’argilla locale.

Lo strato dell’arte ebete profondo tra itinerari di ricerca e viaggi con istantanee in metropolitane americane aveva fermentato effluvi ed era svaporato in masse leggere, attrezzate progressivamente per allevare probabili virgulti, tracciando strade di agile percorso e comodo collegamento signorile.

La costruzione variegata prometteva futuro di instabilità dinamica e resistenza oltre le aspettative. L’umanità della val Bormida aveva reinventato la convivenza pacifica intelligente, sostenibile per l’ingrasso.

Bruno Chiarlone Debenedetti

 

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