Porto Canale di Cagliari, si aggrava la crisi denunciata dalla Uiltrasporti Sardegna
Zonca: “Niente stipendi per i sedici dipendenti della CTS e contratto di solidarietà rinnovato per i lavoratori della ITERC”
Il sindacato ribadisce la richiesta dell’apertura immediata di un tavolo di crisi che affronti la situazione e un intervento del ministro Toninelli
Si aggrava la crisi del Porto Canale di Cagliari. A conferma di quanto dichiarato un mese fa nel dossier della UilTrasporti – che ha denunciato una perdita esponenziale del traffico nello scalo merci cagliaritano (-72% in tre anni e -55% nell’ultimo anno) il primo segnale è l’aggravarsi dello stato di crisi di due aziende operanti nel porto per il terminalista CICT: l’azienda CTS che – denuncia il segretario regionale Uiltrasporti William Zonca – non sta pagando gli stipendi ai suoi 16 dipendenti e il rinnovo del contratto di solidarietà fino a marzo per i circa sessanta lavoratori dell’azienda ITERC.
Il dossier-denuncia – reso noto un mese fa dalla Uiltrasporti – esaminava l’andamento del traffico dello scalo merci cagliaritano analizzando le problematiche che impediscono a Cagliari di decollare a differenza di quanto avviene a Gioia Tauro (terminal peraltro gestito dalla stessa Contship Italia) e al mondo dello shipping in generale. Lo studio evidenziava una perdita netta di traffico del 72% in soli tre anni. Se nel 2015 il porto canale del capoluogo sardo ha movimentato 686.000teu, nel 2017 si è registrata una flessione a 420.000 e le previsioni per l’anno in corso si attestano a soli 190.000teu: -55% in un anno. Per questo la UilTrasporti – denunciando l’incomprensibile atteggiamento della Contship Italia – ribadisce la richiesta di apertura urgente di un tavolo di crisi costituito dalle istituzioni politiche, datoriali e sindacali che possa affrontare radicalmente le problematiche del terminal di Cagliari e auspica che il Ministro dei Trasporti Toninelli possa affrontare la drammatica situazione del porto di Cagliari.
DATI TRAFFICO PORTP CANALE DI CAGLIARI: Dal 2015 al 2018 una perdita del 72%
Anno 2015 | Anno 2016 | Anno 2017 | Previsioni 2018 |
686.000 TEU | 670.000 TEU | 420.000 TEU | 190.000 TEU |
– 3% | -37% | -55% |
Fonte: Uiltrasporti Sardegna
Di seguito riproponiamo il dossier-denuncia di Uiltrasporti Sardegna
L’analisi della Uiltrasporti Sardegna parte da un raffronto con lo scalo di Gioia Tauro, Hub di riferimento del settore nel Mediterraneo quale area geografica, e al transhipment quale modalità di gestione dei traffici e Hub direttamente concorrente con Cagliari, per di più appartenente alla medesima compagine azionaria di maggioranza (Contship Italia). Un confronto che evidenzia il differente approccio (non sempre comprensibile) del Terminalista nei due contesti.
In particolare il dossier smentisce che la crisi del terminal cagliaritano possa essere dovuta all’insularità e all’impossibilità di gestire importante traffico di import/export per l’assenza di Ferrovie e la scarsa economia locale. “E’ sufficiente andare a guardare i dati pubblicati dall’Autorità Portuale di Gioia Tauro per evincere facilmente che Cagliari è superiore sia in termini percentuali che in termini di quantità assoluta. Gioia Tauro ha una percentuale di import/export inferiore al 2% sul totale di container movimentati in un anno, con un volume di circa 35.000 teu movimentati in un anno. Cagliari invece, negli ultimi 5 anni ha evidenziato un volume di import/export mai inferiore al 14%, in crescita negli ultimi 2 anni fino a circa il 17%, con un volume di 80.000teu (Fonte raccolta dal sito AdSP Cagliari). E’ palese quindi che i quantitativi di import/export non possono essere veicolo di attrazione di traffici per Gioia e non per Cagliari. Ne consegue che i volumi di traffico import/export non possano essere citati dal Terminalista quale veicolo di attrazione di traffici per Gioia Tauro e non per Cagliari”.
Costi di pilotaggio e rimorchiatori. Il dossier della Uiltrasporti evidenzia come i costi di pilotaggio e per i rimorchiatori, a parità di tariffe (stabilite a livello nazionale), siano superiori a Gioia Tauro rispetto a Cagliari. Se a Cagliari viene impiegato e richiesto un pilota in ingresso e uno in uscita, e i rimorchiatori sono addirittura facoltativi, a Gioia Tauro almeno un rimorchiatore è sempre obbligatorio, e i Piloti in ingresso e in uscita dal canale devono essere 2 (il primo viene pagato al 100% della tariffa, il secondo al 50%). Inoltre, fatto non trascurabile, le navi che transitano nello stretto di Messina, sono obbligate a prendere il pilota a bordo, con conseguente aggravio dei costi.
Tabella riassuntiva:
- Rimorchiatori Cagliari: facoltativi
- Rimorchiatori Gioia Tauro: obbligatori
- Pilotaggio a Cagliari: 2 piloti, di cui 1 in ingresso e 1 in uscita
- Pilotaggio a Gioia Tauro con direttrice Suez-Gioia-Suez: 5 piloti (2 stretto di Messina per a/r + 1,5 ingresso e 1,5 uscita)
- Pilotaggio a Gioia Tauro con direttrice Gibilterra-Gioia-Gibilterra: 3 piloti (1,5 in ingresso e 1,5 in uscita)
- Pilotaggio a Gioia Tauro con Direttrice mista est-ovest: 4 piloti (1,5 ingresso, 1,5 uscita e 1 a Messina
“E’ evidente che i costi di pilotaggio e rimorchiatori sono sempre superiori a Gioia Tauro, ma nonostante questo il problema dei costi di ormeggio è da sempre uno degli elementi che vengono citati dal Terminalista per giustificare la presunta poca concorrenzialità di Cagliari sugli altri scali e anche su Gioia Tauro”.
Posizione degli scali. Quanto alla distanza dalle grandi rotte di navigazione lo studio della Uiltrasporti Sardegna rileva come la posizione di Cagliari sia molto più centrale rispetto allo scali di Gioia Tauro. Il porto cagliaritano sta infatti a circa 45 miglia dalla linea immaginaria della principale rotta Suez- Gibilterra, mentre Gioia Tauro sta a circa 160 miglia da questa linea ed ha di mezzo lo stretto di Messina con il relativo traffico e costi di pilotaggio.
Il mistero degli investimenti di Contship Italia. Uno dei fattori che hanno portato alla crisi di CICT sta sicuramente nel ritardo accumulato sugli investimenti del terminalista. A oggi, nonostante una delibera del CIPE del 2002 e la sottoscrizione di un contratto di localizzazione del 2006 per 60,6 milioni di euro (finalizzati all’acquisto delle nuove gru), il Terminalista non ha ancora concluso alcun investimento strutturale di prim’ordine, denuncia la Uiltrasporti. Parallelamente, ha chiesto e ottenuto due proroghe sul contratto di localizzazione: la prima ha spostato la data di chiusura del contratto dal 31/12/2010 al 31/12/2013, e la seconda dal 31/12/2013 al 31/12/2018. Fonti attendibili parlano di un’ulteriore richiesta di proroga fino al 31/12/2019, la cui accettazione da parte del Ministero non è nota. “I motivi di queste richieste di proroghe risiedono nella presunta e perdurante crisi mondiale dei traffici che evidentemente ha avuto effetti così lunghi solo a Cagliari – rileva la Uiltrasporti -. Si fa presente che nel periodo2010/2017 tutti i principali terminal del Mediterraneo hanno pesantemente investito sul rinnovamento dei mezzi di sollevamento in banchina, a esclusione di CICT. Questi investimenti sono avvenuti anche negli altri terminal del Gruppo Contship. Nonostante questa presunta crisi, CICT ha chiuso gli ultimi 10 bilanci con forti attivi, quantificabili tra i 4 e i 6 milioni annui (a esclusione del 2008, anno della cassa integrazione), quadro che avrebbe potuto agevolare l’idea di investire sulle infrastrutture. Parallelamente, mentre Contship rimandava gli investimenti a Cagliari, a Gioia Tauro sono state acquistate n°4 Super Gru nel 2007 e n°5 gru ancora più grandi nel 2009. Nove gru che da ormai 8 anni accolgono le grandi navi che non possono essere accolte a Cagliari. Acquisti simili ma di entità inferiore sono avvenuti a La Spezia, e parallelamente Contship ha avviato il Terminal di Tangeri in Marocco, con investimenti a lungo termine anche in termini di risorse umane dall’Italia. Ultimamente, le attenzioni di Contship e della collegata “Madre” Eurogate, si sono concentrati in Iran e a Cipro, dove sono in arrivo le prime mega gru con i classici colori rossoblù del Gruppo. Ci si chiede quindi come sia possibile che, mentre a Cagliari si facevano grossi guadagni, si giustificassero i mancati investimenti in nome della “presunta” crisi del Transhipment, invece negli altri terminal del gruppo si investiva pesantemente nonostante rendessero meno dal punto di vista dei profitti”.
Il personale. Anche il rapporto dipendenti/teu movimentati era molto più favorevole per Cagliari, tale da rendere quindi più snella la voce di costo del personale, grazie anche al migliore uso degli strumenti di flessibilità frutto degli accordi sindacali e il parallelo appalto di alcune operazioni portuali. “Questo fatto – rileva la Uiltrasporti – avrebbe potuto garantire al Gruppo Contship una maggiore serenità nell’ipotesi di investimenti, anche grazie ai migliori profitti dei vari esercizi annuali. Infatti, è noto che Cagliari sia da sempre virtuoso in termini di costi e utili, a differenza di altri Terminal del Gruppo. Eppure a un migliore quadro di riferimento non è corrisposto un piano di investimento che poteva essere pianificato con migliori ipotesi di rientro e con meno rischi di esposizione”.
Le prospettive. Oggi – evidenzia la Uiltrasporti – la Contship Italia continua a dichiarare che le gru non sono il problema della crisi del Terminal. Questo in aperta contraddizione con quanto espresso dalla stessa società nei passaggi che portarono al contratto di localizzazione del 2006, ove si dichiarò che il più urgente investimento era l’acquisto delle nuove gru: già 12 anni fa erano insufficienti! A differenza di quanto dichiarato, molteplici fonti dirette e attendibili hanno dichiarato a più riprese che da almeno due anni era nota la mancanza di volontà di investire a Cagliari da parte di Contship. Investimenti che – rileva Uiltrasporti – sono stati sempre dichiarati necessari e non evitabili per garantire futuro al Terminal. Inoltre, il Terminalista oggi sostiene che l’80% delle navi container del mondo ha una capacità inferiore agli 8.000teu (limite di lavoro delle gru di banchina). “E’ un dato falso – denuncia il sindacato – e se anche fosse vero, sarebbe falso nel contesto del transhipment in cui Cagliari opera. Nel transhipment, la grandezza media delle navi è cresciuta enormemente negli ultimi anni, con una capacità media di stivaggio che ormai ci vede ai limiti della lavorabilità. ATTENZIONE PERO’: il problema sono solo le gru, mentre fondali, bacino di evoluzione, banchine, spazi di stoccaggio a piazzale sono in grado di accogliere le mega navi che in questi ultimi anni solcano i mari. Ancora una volta, quindi, si evidenzia che il problema della uscita di scena di Cagliari è da imputare principalmente all’impossibilità di operare sulle grandi navi”.
Tornando alle grandi rotte di navigazione, attualmente Cagliari non è in grado di lavorare nemmeno un servizio delle grandi compagnie di navigazione (Maersk, MSC, COSCO, CMA, Hapag Lloyd e UASC) nella rotta Estremo Oriente – Mediterraneo/Europa. In tutti i servizi tra l’Europa e l’Oriente (Indie, Cina, Malesia, Giappone e Thailandia) operano navi con capacità da 10-12000 teu a salire. Siamo ancora in grado di lavorare (seppure con dei limiti) i servizi per il Nord America e il Sud America, ma è evidente che un Terminal di Transhipment che può accogliere solo le rotte verso le Americhe e non verso l’Oriente, non ha lunga vita, e si priva a priori della possibilità di gestire le tratte di traffico contenitori numericamente ed economicamente più redditizie, in quanto è noto a tutti che la gran parte delle produzioni mondiali arriva dall’Asia.
Secondo la Uiltrasporti Sardegna è però da respingere l’idea secondo cui il transhipment sarebbe morto. “Si tratta di un’affermazione faziosa, espressa probabilmente da chi non ha più volontà di investire nel settore. Pensare che le mega-navi recentemente varate o quelle ancora più grandi che verranno possano scalare TUTTI i porti è pura fantasia. Molto più realistico pensare che facciano “flussare” grandi quantità di contenitori in sbarco e imbarco in pochi terminal, meglio se ben organizzati con infrastrutture adeguate e grandi spazi, e Cagliari ha enormi potenzialità in questo senso.
La pianificazione delle infrastrutture ha cicli ben più lunghi delle dinamiche del mercato: soprattutto in questi ultimi anni la crescita della dimensione delle navi, le dinamiche della economia globale, gli sbilanciamenti fra domanda di trasporto e l’offerta di capacità di stiva con relativi impatti su tariffe e redditività del settore e i paralleli processi di concentrazione nello shipping attraverso fusioni, acquisizioni, alleanze e fallimenti hanno determinato continue variazioni delle strategie di utilizzo delle flotte e dei criteri di selezione dei porti. Pianificare lo sviluppo delle infrastrutture sulla base dei criteri di scelta attuali del mercato o dei trend passati di crescita sarebbe come guidare un automobile guardando solo nello specchietto retrovisore.
Il trend di crescita del segmento delle navi da 20.000teus e oltre (mostri da 400 metri di lunghezza e quasi 60 di larghezza alti come un palazzo di 12 piani) si mantiene il più forte della flotta tutti gli operatori che vogliono competere sulla rotta Far East – Europa – USA sembra si stiano attrezzando in tal senso. Questi giganti faticano a trovare banchine in grado di accoglierli nei porti “regional” per due motivi: la disponibilità di infrastrutture adatte, la concentrazione in tempi ridotti di grandi volumi di sbarco imbarco ed il relativo impatto sulla capacita delle infrastrutture urbane e di retro porto nel sostenerli.
L’insularità’ della Sardegna e il suo limitato mercato interno sono sicuramente un limite – evidenzia la Uiltrasporti Sardegna nel dossier-denuncia –: ma che dire allora di Malta, membro come noi della Comunità europea, che dista meno di 150 miglia e che lavora a pieno ritmo con 3,1 milioni di teu all’anno, 2,5 km di banchina, 21 enormi gru che possono servire navi da 18.000 teus e oltre, collegata a 130 porti world wide e 62 nel mediterraneo? La grande differenza non è tanto il posizionamento geografico quanto una strategia e una governance coese fra porto e stato con una focalizzazione assoluta sulla crescita ed una forte partnership con CMA CGM, una delle top five nello shipping che garantisce un battente di volumi diventato volano per ulteriore crescita.
Questo vuol dire che la sfida del futuro sarà come gestire e dove “parcheggiare” nel Mediterraneo le enormi navi sulla rotta Far east- Europa , dove tra l’altro non tutti gli operatori arriveranno “per primi” o avranno le stesse strategie e priorità. Crediamo quindi che prima di dare per persa la possibilità di dare al Porto Canale di Cagliari un futuro come porto di transhipment sia opportuno fare ulteriori riflessioni ma soprattutto non valga la pena di gettare la spugna perché il costo della rinuncia rischia di essere enormemente superiore al costo degli investimenti necessari per continuare a competere, senza dimenticare che le opportunità per eventuali merci da lavorare in una ipotetica zona franca non possono prescindere dai collegamenti con il Far East e dal transhipment del Porto Canale”.