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Caso Shalabayeva, Fsp Polizia: “Soddisfazione per questi valorosi Servitori dello Stato “

“Siamo estremamente lieti dell’esito del giudizio d’appello nei confronti dei poliziotti coinvolti nel caso Shalabayeva, leali e valorosi Servitori dello Stato, una vita dedicata a un lavoro in cui i rischi sono tanti e subdoli, e i pericoli più grandi stanno proprio nelle ‘voragini giudiziarie’ in cui si può precipitare a causa del servizio. La soddisfazione fa il paio con l’amarezza di sapere che loro, come tanti altri colleghi accusati ingiustamente, subiscono danni irreparabili, ancora una volta dovuti alla mancanza di un’adeguata tutela legale, normativa, procedurale. E’ fuori di dubbio che il sistema non tiene conto della specificità del nostro lavoro, in cui l’uomo o la donna che indossano la divisa rischiano la vita e la salute, la serenità delle proprie famiglie, ma, su tutto, sono esposti a qualcosa che rischia davvero di distruggerli nel profondo, e cioè l’attacco alla loro ‘funzione’, alla dignità di Servitori dello Stato, l’ombra gettata sulla loro fedeltà, sulla loro capacità, sulla loro onestà, sulla loro competenza. Oggi, a 10 anni di distanza dai fatti, e purtroppo temiamo che la cosa non finisca qui, siamo ancora a discutere dell’operato di poliziotti che quotidianamente hanno dimostrato il loro valore, messo bellamente in discussione salvo poi concludere che quel fatto atroce contestatogli non sussiste affatto. Auspichiamo davvero che si possa pensare di tornare a procedimenti giudiziari affidati a chi abbia una preparazione e una esperienza specifica per portare avanti un giudizio nei confronti degli operatori in divisa, persone alla quali, nella maggior parte dei casi finiti in tribunale, bisogna solo dire grazie”.   

Così Valter Mazzetti, Segretario Generale Fsp Polizia di Stato, dopo la sentenza  della Corte d’appello di Perugia che, annullando le condanne del primo grado, ha assolto con la formula più ampia, “perché il fatto non sussiste”, tutti gli imputati coinvolti nel “caso Shalabayeva” fra i quali Renato Cortese, Maurizio Improta, e un gruppo di loro collaboratori con i quali, nel maggio del 2013, guidavano la squadra mobile e l’ufficio immigrazione della questura di Roma.

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