Maturità Verga e la sua novella Nedda, bozzetto siciliano
Cento anni fa, nel 1922, muore lo scrittore Giovanni Verga.
Nasce il 2 settembre del 1840 a Catania, da una famiglia di antica origine. La formazione scolastica dei primi anni è seguita dal patriota Antonio Abate, dal quale apprende le idee risorgimentali. Frequenta la facoltà di giurisprudenza che poi abbandona per dedicarsi alla scrittura. Nel 1865 giunge a Firenze, una delle capitali della cultura italiana, dove conosce intellettuali e personaggi di spicco. Ispirato dagli ambienti mondani scrive “Eva”, “Eros” e “Tigre reale”. Verga si sposta a Milano dove nel 1881 escono “I Malavoglia”, un romanzo che, per ciò che concerne le tematiche, è un ritorno alle origini.
Verga e i Malavoglia
“I Malavoglia” sono poveri pescatori di Acitrezza la cui travagliata esistenza culminerà nella disperazione e nella solitudine. Nel vano tentativo di far fronte alle difficoltà economiche, Padron ‘Ntoni fa un investimento sbagliato. In poco tempo la famiglia sarà trascinata in un turbinio di errori e tristezze.
La Sicilia ed i poveri tornano anche in “Mastro don Gesualdo”. Il romanzo, pubblicato nel 1888, è incentrato sul tentativo di don Gesualdo, un umile muratore, di migliorare la sua condizione sociale. Proprio il suo desiderio di allontanarsi dal suo mondo lo condannerà ad una triste fine. In “Mastro don Gesualdo” si esplica la teoria dei vinti. Si tratta di persone che, in un primo momento, riescono ad approfittare del progresso ma poi ne sono travolti e finiti.
La poetica di Giovanni Verga
Giovanni Verga si inserisce nella corrente letteraria del verismo, nata sul finire del XIX in Italia. I protagonisti del verismo sono gli umili e le terribili condizioni di vita ai quali sono costretti.
Il linguaggio dello scrittore siciliano è ispirato alla realtà che racconta anche se non ricalca in toto le forme dialettali. Un aspetto interessante è la scelta dell’impersonalità narrativa che implica la completa assenza del punto di vista dell’autore. Verga sceglie uno stile oggettivo, dove il parare e la visione dell’autore è completamente abolito
Giovanni Verga la sua novella Nedda
Nedda, novella pubblicata il 15 giugno 1874 dalla «Rivista italiana di scienze, lettere e arti», cade in un passaggio determinante della poetica e della carriera letteraria di Giovanni Verga. In questi anni lo scrittore siciliano si va affermando (con i romanzi Tigre reale ed Eros) quale narratore critico dei turbamenti sentimentali della ricca borghesia, che costituisce la parte più rilevante del suo pubblico.
Composta, si dice, nei giorni del Carnevale di quell’anno per soddisfare pressanti esigenze economiche e per reagire ad una crisi di sfiducia che porta Verga a pensare a un ritorno in Sicilia, Nedda racconta una vicenda che molto ricorda il pathos melodrammatico dei romanzi “borghesi” di quegli anni. L’autore recupera e rielabora cioè un genere letterario di gran successo all’epoca: una vicenda dalla forti tinte passionali, che cerca le lacrime e la commozione di chi legge, spesso scegliendo come propri protagonisti figure degli strati più bassi (proletari o contadini) della società. Ovviamente, Verga, che resta per ora distante dalla carica polemica degli Scapigliati milanesi, non vuole tanto suggerire ai destinatari di questa produzione narrativa (l’agiata classe media cittadina) un effettivo cambiamento della situazione, quanto piuttosto colpirne l’impressionabilità, appunto ricorrendo a vicende drammatiche e favorendo l’immedesimazione nel personaggio principale.
La figura di Nedda
In questo caso, la figura su cui concentrare gli effetti melodrammatici è Nedda: giovane contadina stagionale addetta alla raccolta delle olive, Nedda ama Janu, suo compagno di lavoro tra gli uliveti. Persa la madre per una grave malattia e risultati inutili gli sforzi di zio Giovanni per aiutare Nedda, la protagonista vede morire Janu (per le conseguenze di un incidente sul lavoro) e poi anche la bambina da lui avuta, già nata rachitica e presto stroncata da fame ed indigenza. Se allora il tema è quello tipico dei racconti melodrammatici, inedita invece è l’ambientazione nella Sicilia rurale e originale – più ancora – il punto d’osservazione da cui il narratore, nell’Introduzione, sceglie di presentare gli eventi. Prima di introdurci alla vicenda vera e propria, Verga pone una sorta di filtro, in cui ragiona anche su questioni di poetica. Centrale è l’immagine, depurata dalla “rettorica” letteraria di maniera, di un “focolare” attorno cui si riuniscano figure e storie sconosciute al pubblico milanese cui Verga in quegli anni si rivolge.