Comunicati Stampa

PAOLO BATTAGLIA LA TERRA BORGESE

Quando tra vitalizi ai politici, diseguaglianze meritate e immeritate di concessioni della cosa pubblica in gestione, come le spiagge, le occasioni di guadagni per un milione di euro in pochi istanti, si elimina il Reddito di Cittadinanza, occorre dare voce all’etica e alla morale.

«Ho ricevuto, signore, il vostro nuovo libro contro il genere umano; ve ne ringrazio; [...]Non era mai stato usato altrettanto spirito nel tentativo di renderci bestie. Leggendo la vostra opera viene voglia di camminare a quattro zampe. Tuttavia, avendo perso quest’abitudine da più di sessant’anni, mi è purtroppo impossibile riprenderla ora [...]Non posso nemmeno imbarcarmi per andare a visitare i selvaggi del Canada [...] perché i malanni ai quali sono condannato rendono indispensabile un medico europeo; [...]».

Con questi toni di feroce ironia – si legge in una nota massinica di alcuni anni fa -, in una lettera datata 30 agosto 1755, Voltaire si rivolgeva a Jean-Jacques Rousseau commentando il Discorso sull’origine i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, nel quale il filosofo ginevrino contrapponeva, come è noto, un edenico stato di natura – caratterizzato dall’uguaglianza sostanziale di ogni essere umano – al tempo presente, un cosiddetto stato civile dominato dalla competizione, dall’oppressione e dai bisogni superflui, nel quale avrebbe avuto origine la diseguaglianza tra gli esseri umani.

Nonostante la beffarda reazione di Voltaire, l’idea di una fondamentale uguaglianza del genere umano era destinata a prendere rapidamente piede nell’Europa illuminista e a essere presto trasferita dal piano della speculazione filosofica a quello dei diritti politici. Così esordisce infatti la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del cittadino del 1789: «Gli uomini nascono permangono liberi uguali nei diritti. Le distinzioni sociali

non possono essere fondate che sull’utilità comune».

Un’utilità comune delle distinzioni sociali che è in qualche modo meglio specificata all’art.6 della stessa Dichiarazione: «Tutti i cittadini, essendo uguali agli occhi della legge sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti impieghi pubblici, secondo la loro capacità senz’altra distinzione che quella delle loro virtù dei loro talenti».

Si trova qui in nuce una prima testimonianza del concetto di meritocrazia nell’accezione contemporanea, come mutuato – seppur travisandone largamente il senso originario – dalla satira distopica di Michael Young (The rice of the meritocracy 18702033: an essay on education and inequality, 1958).

In effetti, a partire dall’epoca delle grandi rivoluzioni democratiche, la complessa dialettica tra diseguaglianza e merito, tra parità nei diritti e differenza nei premi individuali, tra disparità socio-economiche e uguaglianza delle opportunità, ha permeato di sé ogni riflessione filosofica, politica ed economica che aspirasse a intervenire sulla contemporaneità: dalle grandi ideologie socialista e liberista – rispettivamente devote all’uguaglianza e all’iniziativa (merito?) individuale – alle riflessioni sui principi di equità e giustizia in un mondo dalle disparità sempre più marcate e dolorose (pensiamo almeno ai lavori di John Rawls e Amartya Sen), fino alle grandi questioni che scuotono in questi anni le nostre democrazie – e che non possono più essere eluse – sul rapporto tra élites e popolo, competenza e rappresentanza.

Oggi, l’urgenza dei temi connessi a diseguaglianza e merito – le relazioni tra Nord e Sud (del mondo e del paese), tra capitale e mobilità sociale, tra privilegi e istruzione – rende ancor più necessaria una riflessione ampia e trasversale, che tocchi gli ambiti della filosofia, dell’etica, della politica, dell’economia e dell’educazione. Sì: dell’educazione.

PaoloBattagliaLaTerraBorgese

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