Gli scali marittimi rappresentano per i gruppi criminali un’opportunità per incrementare i propri
profitti e per rafforzare collusioni. I porti, infatti, possono essere considerati come un punto di arrivo,
transito, scambio e intersezione, in cui persone e merci si muovono e vengono movimentate, generando
ricchezza: da un lato i business creati dai traffici, dall’altro gli investimenti necessari per mantenere le
infrastrutture operative, entrambi possibili campi di espansione degli interessi criminali. Libera ha
presentato stamattina a Roma il Rapporto “Diario di Bordo. Storie,dati e meccanismi delle proiezioni
criminali nei porti italiani”( curato da Francesca Rispoli, Marco Antonelli e Peppe Ruggiero) dove
sono stati elaborati i dati provenienti dalla rassegna stampa Assoporti, dalle relazioni della Commissione
Parlamentare Antimafia, della DIA, della DNAA, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanzia.
Gli affari vanno in porto. Nel corso del 2022 all’interno dei porti italiani- commenta Libera- si sono
registrati 140 casi di criminalità, circa un episodio ogni 3 giorni, che sono avvenuti in 29 porti, di cui 23 di
rilievo nazionale, che corrispondono al 40%. Dei 140 casi, l’85,7% riguarda attività illegali di
importazione di merce o prodotti, il 7,9% riguardano attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9% riguarda sequestri di merce in transito, mentre il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili. Analizzando le attività portate avanti dagli attori criminali, possiamo notare che solo una minima parte riguardano la proiezione nell’economia legale del porto, mentre in 136 casi si tratta di attività illecite. In questo ultimo caso il dato che spicca maggiormente riguarda il traffico di merce contraffatta, pari al 49,3% dei casi mappati, seguito dal traffico di stupefacenti con il 23,2% e il contrabbando con l’11,6%. In misura marginale seguono episodi relativi a illeciti valutari (5,8%), al traffico illecito di rifiuti (2,9%). Il maggior numero di casi di criminalità sono stati individuati nel Porto di Ancona(15 casi) segue il Porto di Genova con 14 casi e Napoli e Palermo con 11.
I porti sono Cosa nostra. Analizzando le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione
Investigativa Antimafia, pubblicate tra il 2006 e il 2022 più di un porto italiano su sette è stato oggetto
degli interessi della criminalità organizzata Sono almeno 54 i porti italiani che sono stati oggetto di
proiezioni criminali, con la partecipazione di almeno 66 clan, che hanno operato in attività di business
illegali e legali. Tra di esse, spiccano le tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra.
Compaiono, però, anche altre organizzazioni criminali di origine italiana: banda della Magliana, Sacra
Corona Unita e gruppi criminali baresi. Si trovano, inoltre, le proiezioni di diversi gruppi di cui viene
indicata esclusivamente la provenienza geografica (o perché dove svolgono le principali attività, o per
l’origine territoriale dei membri) come asiatici, dell’Est Europa, del Nord Africa, o oppure precisando la
nazione di provenienza, Albania, Cina, Messico e Nigeria. Su 66 clan ben 41 sono gruppi di ‘ndrangheta
che operano in diversi mercati illeciti: traffico di rifiuti, traffico di armi, contrabbando sigarette e TLE,
traffico di prodotti contraffatti, estorsioni e usura, e soprattutto traffico di stupefacenti. Le proiezioni della
‘ndrangheta sembrano manifestarsi sia nei piccoli porti calabresi (Amantea, Badolato, Cetraro, Corigliano
Calabro, Isola di Capo Rizzuto, Tropea, Crotone), sia nell’importante hub di Gioia Tauro. Le attività
illecite, però, superano i confini regionali e coinvolgono altri porti del Sud Italia (Napoli e Salerno), del
Centro Italia (come Livorno) e del Nord-Est (Venezia e Trieste). Particolarmente significativo sembra il
caso della Liguria dove proiezioni della ‘ndrangheta sembrano coinvolgere tutti i principali porti:
Genova, La Spezia, Vado Ligure e Savona. Seppure le mafie giocano un ruolo rilevante non sono gli
unici attori coinvolti, dato che, spesso è necessario il contributo di più soggetti, in molti casi appartenenti
all’area dell’economia legale: lavoratori del porto, dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti
dell’economia marittima mentre per i traffici illegali, spesso è necessario il contributo di chi produce, chi
imbarca, chi si occupa del trasferimento, chi recupera il carico, chi lo fa uscire dall’area portuale e chi si
occupa della distribuzione.
“Il report- commentano Marco Antonelli e Francesca Rispoli di Libera- ha come obiettivo generale
quello di realizzare una fotografia delle modalità e degli andamenti con cui i fenomeni criminali si
manifestano in ambito portuale, con una particolare attenzione al caso italiano e al ruolo delle organizzazioni mafiose. La prospettiva di analisi utilizzata prova a mettere in luce le dinamiche di interazione tra fenomeni illegali e attori dell’economia legale, per mettere in evidenza non solo l’azione dei gruppi criminali, ma soprattutto le condizioni di contesto che permettono ai gruppi di operare. In Italia, alcune istituzioni se ne sono occupate, ma, nonostante la centralità del sistema portuale per l’economia del Paese e la rilevanza della criminalità organizzata italiana nello scacchiere internazionale, manca un’analisi più ampia del fenomeno. Nel dibattito pubblico, infatti, le riflessioni sul tema emergono solitamente in concomitanza con i grandi arresti condotti dalle forze dell’ordine o in occasione dei maxi-sequestri di stupefacenti o altri materiali illegali. La narrazione, però, risulta essere spesso allarmista, mentre sembra essere necessaria un’analisi puntuale che metta in mostra non solo l’azione dei gruppi criminali, ma anche le criticità degli stessi porti. In conclusione- dichiarano gli esponenti di Libera- gli scali sembrano essere uno snodo strategico e di fondamentale importanza per i gruppi criminali, che possono sfruttare l’infrastruttura e i collegamenti per svariati scopi. Un tema su cui, però, il dibattito politico sembra ancora troppo timido.
In questo senso, il rafforzamento del coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità
pubbliche presenti nel porto e imprese private che lì operano sembra essere una delle principali
esigenze su cui intervenire, non solo in ottica repressiva, ma, soprattutto, preventiva. Una maggiore
consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali, sembra essere la precondizione per la promozione di contesti meno predisposti a scambi illeciti, nonché per la predisposizione di politiche di sviluppo coerenti con queste finalità”.
La centralità nelle rotte commerciali, così come la permeabilità del tessuto socioeconomico, hanno reso
alcuni scali più attrattivi di altri. Inoltre, negli ultimi anni possiamo riscontrare come alcuni porti – ad
esempio Vado Ligure – abbiano trovato sempre maggiore spazio. Questo può far ipotizzare un processo di diversificazione ed espansione delle attività della criminalità organizzata anche in differenti scali. Una
tendenza che può avvenire per diversi motivi, sicuramente legati al funzionamento stesso del porto: la
dimensione economica, il contesto politico e istituzionale, le opportunità criminali create dagli attori operanti all’interno dell’area. Non è solo l’elemento geografico a fare la differenza, ma il contesto portuale.
Gioia Tauro. Il porto calabrese oggi è uno dei porti strategici per l’importazione della cocaina in
Europa. I numeri dei sequestri sono ingentissimi e danno l’idea dei guadagni enormi che fa la ndrangheta la quale, grazie a questi business sta comprando mezza Europa: ad Aprile del 2023 la Guardia di Finanza e le Dogane hanno comunicato che nei due anni precedenti erano stati sequestrati solo a Gioia Tauro, ben 38 tonnellate di cocaina, circa il 93,7% di quella sequestra in tutta Italia. Si comunicò che era stata alzata la percentuale dei sequestri da una media dell’8 – 10% al 20-22%. Ciò significa che se sono state sequestrate 38 tonnellate in due anni ne sono passate oltre 150 tonnellate, destinate in tutta Europa e non solo nel nostro paese. Basta fermarsi un attimo per calcolare il valore sulle piazze di spaccio di oltre 150 tonnellate di coca che una volta tagliate valgono ben 600 tonnellate per immaginare gli ingentissimi guadagni che stanno alla base del business. Miliardi e miliardi di euro, molti di più di una finanziaria dello Stato, che drogano il mercato legale con flussi di economia illegale, condizionando i sistemi delle relazioni economiche e sociali del nostro Paese e non solo.
Questi dati – afferma Giuseppe Borrello, Referente regionale di Libera Calabria – confermano, anche,
una sempre maggiore incisività dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine nel contrasto e
nella prevenzione del malaffare nello scalo portuale di Gioia Tauro. Un’attività continua e costante la quale
deve mirare a rendere ancora più sicuro, da qualsiasi tipo di infiltrazione mafiosa, un porto che, per le sue
caratteristiche e posizione, continua ad essere strategico per lo sviluppo della Calabria e dell’intera area
del Mediterraneo.
Non solo Italia. La DCSA nella relazione del 2023 ha riservato un approfondimento sull’analisi dei traffici
internazionali di cocaina via mare. Secondo quanto ricostruito, “nel 2020, in particolare, sono stati
realizzati 520 sequestri di cocaina, segnalati da 12 Stati Membri dell’UE (Belgio, Bulgaria, Danimarca,
Francia, Germania, Grecia, Italia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna) e da 3 Paesi al di fuori
dell’UE (Russia, Ucraina, Regno Unito)”. La relazione prosegue sostenendo che: “L’entità della cocaina
sequestrata ammonta a 282 tonnellate, rinvenuta in 75 porti diversi, distribuiti come segue: 301 sequestri
(171 tonnellate) in 35 porti dell’UE;11 sequestri (2 tonnellate) in 6 porti in Paesi extra UE; 206 sequestri
(108 tonnellate) in 32 porti dell’America Latina;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto dell’Africa;1
sequestro (0,5 tonnellate) in un porto del Nord America. In sostanza, nel 2020, 108 tonnellate di cocaina,
dirette in Europa, sono state sequestrate in porti di partenza situati in America Latina e circa 171 tonnellate (circa l’80% della cocaina intercettata in Europa, pari a 213 tonnellate) sono state sequestrate nei principali porti container dell’Unione Europea” .