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Mar Rosso, Greenpeace «missione militare serve a difendere le nostre fonti fossili e mostra il fallimento della politica energetica del governo»

 «La missione militare europea a protezione della libertà di navigazione nel Mar Rosso discussa oggi dal Consiglio per gli Affari Esteri dell’Unione è l’ennesimo intervento armato del nostro Paese a tutela delle fonti fossili. La crisi in corso rivela il fallimento delle politiche di diversificazione avviate dal governo italiano sull’onda della guerra in Ucraina, che hanno continuato a puntare sul gas anziché sulle rinnovabili», afferma Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia, commentando la decisione del nostro Paese di schierarsi al fianco di Francia e Germania nella missione europea Aspides a protezione dei mercantili nel Mar Rosso, finiti nel mirino degli attacchi degli Houthi yemeniti. 

«Dal 2021, Greenpeace denuncia che circa il 64% della spesa per le missioni militari italiane è legato alla difesa di asset e rotte del petrolio e del gas, nonostante gli impegni per la decarbonizzazione annunciati dal nostro governo», continua Giannì. «Invece di lavorare per un futuro sostenibile, l’Italia ha puntato solo a fare scorta di gas e petrolio, senza preoccuparsi né dell’emergenza climatica in corso né dei rischi geopolitici in gioco. Se avessimo investito massicciamente nelle fonti rinnovabili, oggi non rischieremmo una nuova crisi energetica».

Come denunciato da Greenpeace Italia in un approfondimento pubblicato oggi, la rotta del Canale di Suez è strategica per le fonti fossili: da quel braccio di mare passano infatti quasi il 5% del greggio mondiale, il 10% dei prodotti petroliferi e l’8% dei flussi marittimi di gas naturale liquefatto (GNL). I dati italiani sono ancora più netti: secondo FederPetroli, circa il 27% dell’import italiano di greggio e il 34% del GNL transitano dall’area interessata dal conflitto.

Che il vero interesse del governo italiano sia quello delle aziende fossili lo dimostrano anche le dichiarazioni della maggioranza. Intervenendo al Senato il 18 gennaio, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sottolineato che «gli attacchi stanno mettendo a rischio una delle rotte commerciali più importanti al mondo, soprattutto per quanto riguarda i rifornimenti energetici dell’Europa meridionale, Italia inclusa, provenienti dai Paesi del Golfo». 

Per questo motivo, quasi tutti gli operatori si attendono un aumento dei prezzi dell’energia nel caso di una ulteriore escalation del conflitto. E l’invio di navi da guerra italiane ed europee nell’area va purtroppo in quella direzione.

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