La giudice di Firenze Giordano commenta la situazione degli stranieri nei carceri italiani
Nonostante il sovraffollamento, e il percentuale degli stranieri nei carceri che supera gli italiani. Nonostante il calo del numero degli immigrati nelle carceri italiane, le misure alternative alla detenzione restano discusse e quindi la giustizia italiana potrebbe essere viziata dal fenomeno della discriminazione contro i detenuti stranieri.
Se trovare soluzioni cautelative – alternative alla reclusione per gli immigrati – è difficile, poiché spesso i giudici giustificano i provvedimenti di detenzione che gli immigrati privi di documenti di soggiorno; alloggio stabile dove possano essere posti agli arresti domiciliari o altro. A ciò si aggiungono altre considerazioni, tra cui l’assenza di garanzie per scontare una pena fuori dal carcere, come il lavoro e la “buona condotta” all’interno del carcere, nonostante il fatto che la maggior parte di loro sia condannata per reati del diritto pubblico.
In questo contesto, Claudia Giordano, giudice onorario addetto al Tribunale penale di Firenze, illustrando suo commento/parere sulla situazione degli stranieri in generale ed i marocchini in particolare nei carceri italiani e a Firenze, ha risposto, gentilmente alle nostre domande:
D: I dati aggiornati intorno alla presenza degli immigrati nei carceri italiani sono in calo ma le misure alternative alla detenzione fanno ancora discutere?
R: non si ha diretta conoscenza circa la presenza esatta degli immigrati nelle carceri Italiane; in merito alle misure alternative alla detenzione occorre preliminarmente rilevare che: per la loro concessione devono sussistere garanzie e requisiti indicati dal nostro codice di rito e fornite dagli stessi immigrati quali es lavoro, conoscenza basilare della lingua italiana, una dimora ecc; tuttavia i cittadini extracomunitari, il più delle volte irregolari, risultano privi dei suddetti requisiti (attività lavorative, sfd e con casellario importante che lasciano presagire che non si asterranno nel futuro nel commettere ulteriori reati specialmente i più frequenti quali spaccio di sostanze stupefacenti, reati contro il patrimonio e lesioni; per la concessione delle misure alternative (quali art 20 bis c.p. o L 689/81 ?) ragion per cui non sono sempre applicabili le misure alternative; occorrono requisiti per la loro stessa applicazione (cui si associano poi i criteri ex art 133 c.p. cui vi è la discrezionalità motivata del giudice,) e spesso essi non sussistono pertanto è a dir poco inapplicabile una misura alternativa.
Anche per la misura degli arresti domiciliari occorre per la loro concessione presupposti importanti quali ad esempio il non pericolo di reiterazione dei reati, una dimora e un ospitante disposto a prendere il detenuto in casa. Dunque i requisiti per tali concessioni si riducono e si apre la strada verso il carcere. Questo spiega in parte il contemporaneo aumento sia delle misure alternative che delle misure di carcerazione: le prime destinate a chi possa dimostrare di avere integrazione e paracaduti sociali (italiani e stranieri), la carcerazione destinata comunque a colpire le fasce sociali più deboli e, come efficacemente definite, “marginali per colpa”.
D: Quale situazione in Toscana, Firenze..?
R: Molto complessa mi collego, sia pur sommariamente vista la complessità dell’argomento, a quanto sopra scritto.
D: Il “Nodo alla Gola”, il rapporto di Antigone sulle condizioni delle carceri italiane pubblicato nell’aprile 2024 indica che il numero dei detenuti stranieri sarebbe quasi la metà dei quali risulta condannato a meno di un anno di carcere. Quale il vostro commento?
R: gli immigrati, il più delle volte irregolari, si trovano catapultati in realtà complesse aggravate dall’insufficienza del sistema di accoglienza, senza dimora e attività lavorativa. Non è negabile l’esistenza di gruppi di persone immigrate fra loro collegate che praticano attività marginali al limite della legalità e spesso espressamente criminali, talvolta come reazione alle difficoltà dell’inserimento che molta parte della società italiana rifiuta, altre volta diretta continuazione di associazioni criminali del paese di origine cui già si apparteneva o in cui si è stati reclutati proprio per espatriare. In Italia gli associati a questi gruppi e chi viene reclutato ex novo, vengono indirizzati in luoghi di spaccio altre attività illecite. Molti per guadagnare qualcosa accettano il loro “aiuto” e si prestano a “lavoretti” e a delinquere. Furto, rapina, lesioni, spaccio, reati che potrebbero avere anche pene non elevate e rientranti nella sospensione condizionale, ottenere sconti di pena e la concessione di benefici con le attenuanti previste dal codice penale (ex art 62 62 bis 62 n4 c.p. ecc.). Vi sono benefici ed istituti per i primi reati commessi da parte dei cittadini extracomunitari anche con pene non superiori a tre anni di reclusione: parliamo di MAP, LPU, 162 ter, oblazioni di cui essi potrebbero beneficiare, ma anche qui vi sono alcuni limiti, peraltro giustificati e comprensibili, se si pensa che viene concessa un’occasione di svolta che equivale ad una messa alla prova: il beneficio di alcuni istituti sono usufruibili una sola volta e, se per il beneficiato viene condannato per ulteriori delitti nel successivi 5 anni (o 2 anni per le contravvenzioni), il beneficio viene revocato e le pene comminate si cumulano. La reiterazione diviene probabile quando non vi sia per il migrante altra risorsa per garantirsi la sussistenza per garantirla alla famiglia rimasta a casa e totalmente dipendente dal “successo” del familiare emigrato a garantire risorse economiche., le pene di queste ultime si associano alle precedenti magari anche sospese aprendo la porta agli istituti di pena e non certamente alle misure alternative alla detenzione.
D: Nei confronti degli stranieri la giustizia italiana rischia di essere discriminatoria: la carcerazione preventiva si applica con più facilità e dunque diventa una sorta di pena anticipata, perché?
R: La restrizione carceraria, e quindi la privazione della libertà individuale, viene prevista nei casi più delicati e gravi previsti dal codice. In certi casi la custodia cautelare in carcere si rende necessaria per il tipo di reato commesso con una funzione prudenziale verso alcuni pericoli (fuga, inquinamento delle prove, commissione di altri delitti), la cui concretezza è decisa sulla base di un’analisi dei comportamenti dell’indagato, modalità di compiere il crimine e della sua storia criminale. Non può negarsi che in altri casi, in cui vi siano queste ragioni di pericolo ma che potrebbero essere prevenute con misure meno afflittive come gli arresti domiciliari, l’assenza di una fissa e certa dimora sia di ostacolo e non resti che il carcere, situazione che colpisce, ancora, i più marginali e meno integrati. È un problema che riguarda ogni categoria di “marginalità”, senza distinzione di cittadinanza, italiani compresi, e che tocca le corde vive delle politiche sociali in senso ampio: dal lavoro alla distribuzione della ricchezza, dai servizi alla comunità all’assistenza, e molto altro. Oggi è particolarmente e più visibile nei confronti dei migranti, proprio perché la loro marginalità, ove vi sia, è in gran parte quasi sempre determinata dalle difficoltà della c.d. integrazione, dove le linee di intervento e aiuto veramente presidiate dal sistema pubblico scarseggiano e tutto indica la volontà di diminuirle.
D: Perché i cittadini marocchini sono i primi nella lista dei detenuti? E per quali delitti…
R: Pur non avendo diretta conoscenza del report e delle statistiche aggiornate, si può comunque ragionare sul fatto che gli immigranti marocchini fanno ingresso in Italia soprattutto per vendere la loro forza lavoro e la loro riconosciuta capacità e volontà di svolgerlo, arrivando però privi di sussistenza, senza lavoro e con storie personali che raccontano la chiara matrice economica del loro espatrio, necessario per loro e le loro famiglie rimaste in patria. Senza lavoro e reddito è quindi molto facile, se non normale, sopravvivere consumando reati da cui trarre il necessario e quanto da inviare a casa.
I cittadini marocchini è probabile siano più presenti in Firenze che altre zone di Italia, ecco perché se i dati indicati sono esatti, risulta questo numero di carcerazioni. In questo quadro agiscono anche ulteriori variabili. Se analizziamo la realtà della città di Prato, il numero dei cittadini cinesi in tale contesto risulta maggiore che in altre città del territorio nazionale. Sarebbe così più probabile che cittadini di provenienza cinese siano incarcerati numero più elevato rispetto a cittadini di altre nazionalità nelle carceri toscane. In realtà questo non accade perché le comunità di alcune nazionalità (per es. proprio quella cinese) offrono una rete di protezione e “accoglienza” più attiva e incisiva di altre, inserendo immediatamente il connazionale in un lavoro spesso di sfruttamento e al nero e di ospitalità spesso nello stesso luogo di lavoro, che però lo fa scomparire dai radar della criminalità e delle forze dell’ordine.
D: Sarebbe sufficiente che alcune legislazioni nazionali divenissero più elastiche per non creare quelle condizioni sociali e giudiziarie che favoriscono la detenzione soprattutto nella fase cautelare?
R: Qui il discorso si biforca. Sarebbe certamente auspicabile una maggiore elasticità della legislazione italiana strettamente relativa al fenomeno migratorio, quindi maggiore aderenza della protezione nazionale ai principi costituzionali (art. 10 della Costituzione) e internazionali (inviolabilità della vita privata e familiare), facilitando le procedure di accesso alla protezione nazionale. Nel sistema di accoglienza, agire potenziandolo sia strutturalmente che finanziariamente in funzione di integrazione, soprattutto integrazione lavorativa e nell’istruzione, che sono i più potenti agenti di formazione di una generazione e di un ceto di lavoratori istruiti e parlanti nella lingua ospitante, non assoggettabili a sfruttamento, consapevoli dei propri diritti in grado di reagire agli abusi, nonché dei doveri verso la comunità tutta, vale a dire dei buoni cittadini.
Dall’altra parte non si può rinunciare al sistema delle tutele sia civili che penali ed a quello delle regole procedurali su cui si reggono, comprese, almeno in questa fase storica, le norme relative alla prevenzione e repressione dei reati ed alla possibilità che in certe situazioni, sopra indicate, si possa colpire anche la libertà personale degli individui sia in fase sia cautelare che di esecuzione della pena inflitta, come del resto è previsto in ogni paese del mondo, Marocco compreso. In Italia questa esigenza è particolarmente sentita, oltre ovviamente che per i reati di sangue, per tutti quei reati che colpiscono beni collettivi e comuni, dall’ambiente ai risparmi delle famiglie, dalla salubrità degli alimenti alla salvaguardia del territorio. Particolare necessità di prevenzione e repressione, peraltro, è da riconoscere per i reati commessi a danno di persone fragili, anche all’interno delle famiglie, senza alcuna distinzione di cittadinanza ma anche senza alcuna rinuncia a ciò che l’Italia considera la soglia di civiltà e di rispetto della dignità della persona umana alla quale chi vi risiede deve necessariamente fare opera di adeguamento. È pertanto necessario continuare a perseguire i maltrattamenti in famiglia, le abusive pratiche di matrimonio combinato e non voluto, di mutilazione, l’imposizione di un dress code per le donne contro la loro volontà, ecc..
D: La criminalità straniera costituisce l’urgenza politica e giudiziaria dell’Italia?
R: Con l’eccezione del terrorismo e delle associazioni di chiaro stampo mafioso, sembrerebbe di no. Si tratta infatti in massima parte di criminalità comune di piccolo cabotaggio, rientrante nella media della vita collettiva di ogni paese.