Comunicati Stampa

Lamezia Terme, Genfest 2024 i giovani di Sicilia, Sardegna, Campania, Basilicata Puglia, calabruia, albania, Egitto e Palestina 

Costruire un mediterraneo di fraternità: una sfida, ma non un’utopia. È questo uno dei leitmotiv della serata finale del Genfest 2024 a Lamezia Terme, dal titolo “PRENDIAMOCI CURA dalla Calabria al Brasile “. Nella grande spianata del lungomare Falcone – Borsellino, si è conclusa la kermesse che per tre giorni ha condotto circa 400 giovani a vivere un’esperienza travolgente che ha toccato vari temi della vita, dell’impegno civile, solidarietà, del volontariato e infine della speranza del cambiamento, della costruzione di un mondo nuovo.

Ci hanno creduto fino in fondo i giovani protagonisti del Genfest che, dopo aver dato una testimonianza forte con il flash mob sulla grande spiaggia di Steccato di Cutro, sono tornati a Lamezia Terme per la serata conclusiva, presentata da Vittorio e Fortunata. Due i momenti salienti: una tavola rotonda, con la presenza di alcuni testimoni del nostro tempo e l’esperienza concreta di giovani e meno giovani che vivono e danno la vita per costruire un futuro di cambiamento. Sul palco, le riflessioni e le testimonianze sono state guidate da Maria Chiara Cefaloni, coordinatrice nazionale di slot mob ed Economia disarmata del Movimento dei Focolari. Ospiti:

Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera, il cantautore Giovanni CaccamoVincenzo Linarello, presidente del gruppo cooperativo Goel, Stefano Scarpa, della Sardegna, attivo sul tema del disarmo, Marian Nabil, proveniente da Il Cairo, dottoranda all’Istituto universitario Sophia e il giovane Alfusaeney, dal Gambia, mediatore interculturale in Italia hanno offerto la loro testimonianza e narrato la loro storia, la storia di chi attraversa la strada della vita non con indifferenza, ma seguendo un grande ideale e mantenendo accesa la speranza. Perché l’obiettivo è la “pace” e la convivenza tra i popoli. Fare delle diversità tra le persone, le culture e i tanti popoli nel mondo un punto di forza. “Persone e popoli – hanno detto Vittorio e Fortunata dal palco del Genfest – facciano rete senza rinunciare ciascuno alla propria identità”.

Alfusaeney ha raccontato la sua storia di migrante. Ha lasciato il suo paese nel 2015, inseguendo il sogno di un futuro e di una prospettiva positiva. “Ho attraversato tanti paesi con tante difficoltà, siamo stati arrestati, torturati, ma abbiamo continuato e siamo andati avanti. Siamo arrivati nel Niger e da lì per raggiungere la Libia dovevamo attraversare il deserto, con poca acqua e cibo, non sapendo quanto tempo sarebbe stato necessario per raggiungere la Libia. Abbiamo impiegato più tempo del previsto. A volte alcuni non ce la fanno perchè finiscono il cibo e l’acqua. Ma anche la Libia non è un posto sicuro per noi. Tante persone vengono arrestate torturate e si chiedono riscatti. I migranti vengono utilizzati per lavorare senza pagarli. Così abbiamo deciso di prendere la barca per arrivare in Italia. In Africa da piccoli impariamo che l’Europa è la terra di libertà dove si può costruire il futuro. La speranza di farcela ci ha spinto a correre questo rischio. Per realizzare alcuni sogni si deve attraversare il mare”. Oggi Alfusaeney sogna di tornare un giorno nel suo paese per amore del suo paese e per aiutare altri giovani che, come lui, vogliono costruire la speranza. “Non voglio che questo fenomeno migratorio continui a mietere vittime. Tutti dovrebbero poter viaggiare e andare in altre parti del mondo. In realtà, oggi, sulla terra, alcuni hanno questo diritto e altri no”.

Quale futuro possiamo immaginare per l’umanità. Come poter andare oltre la crisi attuale ? È questa la domanda posta a don Luigi Ciotti. Don Ciotti ha ricordato che il Mediterraneo viene definito “culla di cultura e di civiltà. La sua estensione è l’1 per cento rispetto agli oceani, ci sono ventitre stati che si affacciano sul Mediterraneo, tante lingue, culture e storie. Qui è nata la cultura europea. Qui è nata la luce delle tre religioni monoteistiche: cristianesimo, Islamismo, ebraismo”.

Ma il Mediterraneo è oggi anche il luogo della crisi. “Bisogna fermare la deriva etica che abbandona un pezzo di umanità più povera e più fragile – ha detto don Ciotti – I migranti morti sono la coscienza sporca che volge la testa da un’altra parte. L’Occidente ha tradito la sua storia.  La lezione del Covid avrebbe dovuto dirci che siamo tutti sulla stessa sbarca. Quella lezione, dell’epidemia che ha fatto migliaia di morti, avrebbe dovuto farci sentire consorti, accomunati da una simile sorte. Non è stato così”. Secondo don Ciotti “Le migrazioni sono deportazioni indotte perché i migranti sono costretti a fuggire dalla fame. Ci sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa e parlare una necessità etica”. Ha ricordato la tragedia di Cutro e le parole di Mattarella sulla spiaggia che chiedeva scusa. E i sindaci del crotonese in ginocchio con il vescovo e l’imam.

Uno sguardo sul mondo. Ha ricordato che “oggi nel mondo ci sono 78 muri, 78 barriere e alcuni si stanno ancora costruendo. Ci sono oltre 55.000 chilometri di recinzione e di fili spinati. I muri e i fili spinati sono maggiori della circonferenza del pianeta. E altri muri sono i mari. E dobbiamo denunciare le leggi che creano le barriere. Papa Francesco ci ha detto che i migranti vanno accolti protetti, accompagnati. Oggi ci viene chiesto un supplemento in più di impegno”. Ha ricordato che anche la storia di papa Francesco è una storia di “migrazioni”. I nonni di papa Francesco abitavano a Portocomaro, in provincia di Asti. Avrebbero dovuto prendere una nave per andare in Argentina, portando con se’ il figlioletto, che fu poi il padre di Papa Francesco. Non riuscirono a raccogliere i soldi e ne presero un’altra molti mesi dopo. La nave che avrebbero dovuto prendere affondò e molti morirono.

Stefano Scarpa, di Iglesias, ha raccontato la storia dell’associazione War Free. In Sardegna, a Iglesias, c’è una fabbrica che produce armi che vengono esportate. Al primo posto nell’export della Sardegna ci sono prima i prodotti petrolchimici (raffinerie e derivati), al secondo posto le bombe e le armi e al terzo posto i formaggi. E le armi, che hanno un export maggiore di quello dei formaggi, vengono esportate nei paesi in guerra anche violando le leggi (legge 185 del 90) che vieta vendere armi a paesi in guerra. Ma sono state utilizzate nello Yemen dall’Arabia Saudita che ha bombardato lo Yemen.

Nel 2017 è nato il Comitato per la riconversione della fabbrica che ha denunciato la violazione della legge e il lavoro poco etico e poco dignitoso. Il Comitato chiede la riconversione della fabbrica, a tutela delle persone che per mancanza di lavoro scelgono di lavorare in quella fabbrica

Qualche anno dopo è nata l’associazione War Free, una rete di aziende e commercianti per un’economia diversa. “Abbiamo superato i cento soci – ha detto – Le aziende che si associano decidono di non collaborare mai con l’economia di guerra o iniziano un percorso per non sostenere più un’economia di guerra. Ma si impegnano anche per il rispetto dell’ambiente e il rispetto dei diritti dei lavori. È nato il marchio WAR FREE che certifica che i prodotti forniti dalle aziende socie dell’associazione rispettano questi principi”.

Giovanni Caccamo ha presentato il MANIFESTO DEL CAMBIAMENTO. È un appello ai giovani perché dicano una parola di cambiamento. “Ho deciso di dedicare un anno della mia vita ad ascoltare le idee di cambiamento dei giovani, per chiedere ai giovani italiani cosa cambieresti della società e in che modo. All’inizio ho ricevuto uno schiaffo. Ero partito con un grande ottimismo, convinto di scardinare i luoghi comuni sui giovani. Mi sono invece accorto che tanti di noi hanno spento i sogni, hanno spento il motore della vita. E questo è stato causato anche dal benessere che si è trasformato in INIBITORE DI SOGNI. Ho scelto la prima parola di questa catena, la parola è “cambiamento”. Il manifesto del cambiamento è diventato un libro, ma è anche il motore di numerose iniziative che continuano tuttora, veicolate dal cantante modicano e da altri artisti.

Marian Nabil ha raccontato la sua storia di studentessa e oggi dottoranda all’Istituto universitario Sophia. Un’esperienza che è diventata per lei comunità capace di sostenerla e aiutarla anche nei momenti difficili, perché proprio in questi anni ha perso entrambi i genitori. Collabora con il centro internazionale Giorgio la Pira di Firenze per progetti sui temi dell’ambiente, con un giovane colombiano, e poi a un progetto sui conflitti, insieme a un giovane palestinese, Majdi, anch’egli tra i partecipanti al Genfest con una testimonianza portata sul palco nella mattina del 28 luglio.

Vincenzo Linarello, fondatore della cooperativa Goel, ha raccontato la storia di imprenditori e cittadini impegnati per combattere la ndrangheta e garantire un futuro alla propria terra. Ma soprattutto per custodire e mantenere la speranza, vero motore della storia. Il suo gruppo ha cercato di supportare coloro che hanno subito attentati, in modo da dare loro il meglio e non uccidere la speranza. Si è cominciato a rispondere così agli attacchi della ndrangheta, denunciando. “Abbiamo cominciato a reagire denunciando e puntando i riflettori su ciò che accadeva. Quando abbiamo cominciato a rispondere, la ndrangheta non è rimasta a guardare. Sono arrivati attentati su attentati. La svolta è avvenuta nel 2015, quando venne aggredita una nostra azienda agricola di Monasterace marina, ha ricevuto sette attentati in sette anni. L’ultima volta hanno cosparso tutto di carburante e hanno appiccato il fuoco, distruggendo tutto.  I proprietari piangevano e volevano mollare tutto. Abbiamo reagito con una comunicazione mediatica, abbiamo mobilitato tutti, fatto partire delle interrogazioni parlamentari. In pochi giorni ci sono arrivati spontaneamente i soldi per riparare tutti i danni. Questo ci ha fatto riflettere su quale fosse la funzione sociale degli attentati della ndrangheta. Abbiamo capito che l’intento non era solo intimidazione all’azienda. Dopo gli attentati la gente dice: “Questa è una terra maledetta, l’unica soluzione è andar via” Abbiamo dato un nome: “depressione sociale”, che toglie la speranza. la depressione sociale è un potentissimo strumento di controllo del territorio Un popolo rassegnato è incapace di reagire. La speranza è pericolosa, mette i grilli in testa alle persone e li convince che un cambiamento è possibile. Noi vogliamo coltivare questa speranza”.

Momento centrale della serata è stato il collegamento con il Brasile, ad Aparecida, dove si è appena concluso il Genfest internazionale, catalizzatore dei 40 Genfest che si sono svolti in tutto il mondo, in 29 paesi. Da Aparecida è arrivato il messaggio forte di Margaret Karram e Jesus Moran, presidente e copresidente del Movimento dei Focolari

La serata si è conclusa con lo spettacolo e varie performance. Protagonisti: il gruppo “I giovani del Mediterraneo” (Claudio Cirillo – chitarra e voce, Elisa La Mandirola – piano e voce, Carlo Gloria – Chitarra e basso, Sebastian Pinto Rojias- percussioni, come vocalist Vincenzo Guida, Alessandro Costanza, Daniela Mazza e Vincenzo Pettinato). E poi il DJ SET di Claudio Cirillo con la partecipazione del gruppo ” La Mirandola ” e Aurora Molina Jimenez da Siviglia. Altri momenti e performance artistiche sono state offerte da DANCE LAB di Montecatini Terme con le coreografie di Gabriel Zoccola e le danzatrici: Eleonora Valorz, Sokhna Fall, Olivia Posocco e da Kinesis Contemporary dance Company di Firenze con le coreografie di Angelo Egarese e le danzatrici: Margherita Canetti, Elena Alessia Hoder, Anna Pesetti, Francesca Piergiacomo, Laura Russo. Il coordinamento musicale è stato curato da Gabriella Marino e la regia da Maria Amata Calò. 

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