“Dipendenza da Internet” vera patologia che non giustifica un reato
La scienza è ormai concorde nel ritenere la “dipendenza da computer e da Internet” (in gergo tecnico detta “nevrosi depressiva” o “Internet addiction disorder”) una vera e propria patologia, un disturbo cioè della psiche tale da alterare il comportamento dell’uomo. La novità è che di tale circostanza hanno finito per prenderne atto anche i giudici della Cassazione, ma con le dovute cautele.
In una recente sentenza (Cass. sent. n. 1161 del 20.11.2013), infatti, la Suprema Corte ha risposto a un interessante quesito: può la dipendenza da web determinare un totale stato di incapacità per il soggetto tale da non renderlo responsabile di eventuali reati commessi proprio attraverso il computer (al pari, cioè, di un incapace di intendere e di volere)?
La questione si è posta con riferimento a un tizio accusato di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico.
Una veloce precisazione è d’obbligo. La dipendenza da Internet viene classificata come un’alterazione del comportamento che ingenera nella vittima, a seguito di un uso compulsivo del computer, l’esasperata e incontrollata ricerca del contatto con il web e con le relazioni virtuali, sino a creare stati psichici di irritabilità, aggressività, nervosismo, disturbi del sonno, malnutrizione.
Generalmente può manifestarsi in tre modi diversi:
– dipendenza cyber sessuale (o sesso virtuale): la vittima della patologia è alla spasmodica ricerca dello scambio e visione di materiale porno;
– dipendenza cyber relazionale (o relazioni virtuali): la vittima costruisce una serie di relazioni virtuali che sostituiscono quelle della vita reale;
– net-gaming: la vittima diventa dipendente dai giochi sul web, compreso il gioco d’azzardo.
Per tornare alla Cassazione, i giudici hanno ricordato che anche i disturbi della personalità, anche se non rientranti nel novero delle malattie mentali, possono essere ritenuti delle infermità capaci di determinare l’incapacità del soggetto e, quindi, la sua non punibilità. Ma ciò ad una sola condizione: che tale patologia sia di consistenza e intensità tale da incidere, in modo determinate, sulla capacità di intendere e volere della vittima. Insomma, l’infermità deve essere talmente grave da rendere il soggetto non consapevole delle proprie azioni.
E, con riferimento alla “dipendenza da Internet”, la Corte, pur riconoscendo che trattasi comunque di una patologia, non la ritiene di intensità tale da escludere la punibilità del reo (almeno nella generalità dei casi e, quindi, salvo ipotesi eccezionali da provare di volta in volta).
In soldoni, la internet-mania non può essere una scusa per commettere reati impunemente.
Foggia, 6 marzo 2014 Avv. Eugenio Gargiulo