Il “Premio Lunezia DOC” è riservato a quegli artisti che, nel perverso e spesso umanamente incomprensibile meccanismo mediatico, ricevono dai circuiti della canzone italiana meno attenzione di ciò che la loro capacità artistica meriterebbe.
Un caso emblematico in Italia è quello di Luigi Mariano, che dunque riceve il Premio Lunezia DOC 2016 per l’album “Canzoni all’angolo”.
Mariano è un cantautore puro, che sa far ottimo uso della melodia ma sa essere anche ironico e pungente. Le sue canzoni poggiano su capostipiti ben saldi (per esempio Fossati o Gaber), ma poi riescono a imporsi con un marchio del tutto personale, che fa la spola tra l’anima di scrittura del piano e della chitarra.
“Canzoni all’angolo” viene a sei anni di distanza da “Asincrono”; il fatto che sei anni siano un’eternità per le dinamiche discografiche, dimostra che il cantautore salentino scrive solo quando ha davvero qualcosa da dire, che la sua creatività non può essere scissa da una necessità di fondo.
Il disco si apre con il brano Mille bombe atomiche, del quale colpisce un passo su tutti:
“Avevo mille bombe atomiche/ ma un giorno le disinnescai/ perché è banale farle esplodere/ per ripudiare ciò che sei”: i percorsi d’intrattenimento e d’impatto ruffiano, di facile riconoscibilità che minano l’autenticità di scrittura, non gli interessano.
Mariano punta ad una autenticità di scrittura e di performance.
La stessa title track Canzoni all’angolo descrive quasi l’essenza che il Premio Lunezia vuol tributare a Mariano, declinata nel codice musical-letterario: “Canzoni all’angolo/ ma io qui mi son già rotto/ della nicchia ad ogni costo/ per poi darsi un tono chic”. Così tra la nicchia che frustra e la stupidità superficiale e beota degli schemi mediatici, l’io poetico sembra trovare conforto nella sensibilità degli ascoltatori: “Forse da lontano un uomo/ con il cuore di un bambino/ tenderà l’orecchio al vento/ e in quel momento/ poi canterà”. Ecco, l’orecchio attento del Lunezia non si è fatto di certo sfuggire il valore musical-letterario di “Canzoni all’angolo” e del suo autore.
Ma subito trovò da esaltarsi di fronte al mare di Taormina. “Che mare! E dove c’è un mare così?” “Sembra vino” disse Nenè. “Vino?” fece il professore perplesso. “Io non so questo bambino come veda i colori: come se ancora non li conoscesse. A voi sembra colore di vino, questo mare?” “Non so: ma mi pare che ci sia qualche vena rossastra” disse la ragazza. “L’ho sentito dire, o l’ho letto da qualche parte: ‘il mare colore del vino’” disse l’ingegnere. “Qualche poeta l’avrà magari scritto, ma io un mare colore del vino non l’ho mai visto” disse il professore; e a Nenè spiegò: “Vedi: qui sotto, vicino agli scogli, il mare è verde; più lontano è azzurro, azzurro cupo”. “A me sembra vino” disse il bambino, con sicurezza.
[1]
Analisi Musical-Letteraria di Paolo Talanca
[1] Passo tratto dal racconto Il mare colore del vino, di Leonardo Sciascia (“Il mare colore del vino”, 1973).