Morvillo Falcone: le Nuove Brigate Rosse prendono le distanze “Non ammazziamo bambini”
Ma la paternità della strage della Morvillo Falcone di chi è? Nemmeno delle nuove Brigate Rosse così sembra dalle dichiarazioni “Non siamo terroristi, noi non ammazziamo i bambini come a Brindisi”.
Lo ha detto Alfredo Davanzo, uno dei 12 imputati al processo d’appello bis in corso a Milano a carico delle cosiddette nuove Br, parlando con i cronisti dalla sua gabbia in aula durante una pausa dell’udienza odierna. Davanzo, considerato il capo delle nuove Br, ha voluto cosi’ prendere le distanze con i responsabili dell’attentato alla scuola Falcone-Morvillo di Brindisi.
Un processo duro quello di Davanzo, forse di quelli che non se ne vedono da anni, cambio di legali infatti la trentenne, Giulia D., ha lasciato per paura, temendo per la sua incolumita’ psicofisica e oggi a difendere Davanzo c’e’ Massimiliano Meda.
“Se vogliamo evitare incidenti burocratici chiariamo subito che non accettiamo alcuna difesa. Siamo capaci di difenderci da soli”, le parole di Davanzo presente in aula. Di fronte al giudice Anna Conforti, che gli ha spiegato che si tratta di “un processo tecnico e non politico” e che il codice impone un avvocato d’ufficio, Davanzo replica: “e’ un codice borghese. Siamo qui per sovvertire lo Stato borghese”. E’ pronto a difendersi da solo anche un altro degli imputati, Vincenzo Sisi. “Non riconosco gli avvocati come miei rappresentati. Intendo difendermi da solo”, spiega.
Nonostante le parole del presunto leader del gruppo, il nuovo avvocato d’ufficio di Davanzo si dice tranquillo. “Gli ho parlato, il mio dovere professionale e’ difenderlo” afferma Massimiliano Meda. Nel suo intervento in aula, dove si tiene il processo bis d’appello, il legale ha spiegato che “la mia e’ una difesa tecnica non politica. Quello che mi interessa e’ garantire una difesa tecnica e avere il tempo per leggere tutti i documenti di un processo delicato”. Il legale interverra’ nella prossima udienza, in calendario il prossimo 28 maggio.
In aula oggi è stato il tuno del pg di Milano Laura Barbaini, che ha chiesto la condanna per i 12 imputati nel processo bis d’appello per le cosiddette Nuove Brigate Rosse. Per gli imputati accusati, a vario titolo, di associazione sovversiva con finalita’ di terrorismo e banda armata, l’accusa ha chiesto in parte una riduzione delle condanne del 2009.
In particolare per il presunto ideatore del gruppo, Alfredo Davanzo, la richiesta e’ di 10 anni e 10 mesi, rispetto alla condanna precedente a 11 anni e 4 mesi. La pena piu’ alta e’ stata richiesta per Claudio Latino, (14 anni e 1 mese), richieste di condanne a due cifre anche per Vincenzo Sisi (12 anni e 11 mesi), Massimiliano Toschi (10 anni, 2mesi e 15 giorni), Bruno Ghirardi (10 anni, 4 mesi e 15 giorni). Il pg ha chiesto la condanna anche per Massimiliano Gata (7 anni, 6 mesi e 15 giorni) e per Salvatore Scivoli (6 anni e 6 mesi). E’ stata invece chiesta la conferma per Amarilli Caprio (3 anni e 6 mesi), per Alfredo Mazzamauro (3 anni e 6 mesi) Davide Rotondi (3 anni e 6 mesi) e Andrea Scantamburlo (3 anni e 8 mesi).
Secondo il pg Barbaini la finalita’ di terrorismo si esprime negli imputati con la volonta’ di ”destabilizzare il quadro politico istituzionale del Paese” attraverso un programma con ”obiettivi concreti e non isolati”, il tutto avendo a disposizione ”armi micidiali che avevano anche la provenienza di Cosa Nostra”. L’aggravante del terrorismo, inoltre, e’ data dalla ”funzionalita’ stretta tra le armi in possesso del gruppo, i furti, le ricettazioni e le falsificazioni messe in atto e gli obiettivi scelti”.
Nel suo intervento il pg ha parlato anche dell’attentato che i membri del gruppo avrebbero ipotizzato contro il giuslavorista Pietro Ichino. ”Colpendo Ichino – spiega in aula – si vuole chiudere la bocca al confronto delle idee”. Il giuslavorista ”non e’ solo un simbolo ma deve essere colpito perche’ rappresenta l’ordine democratico su cui si fonda l’attuale assetto politico istituzionale”. Ichino e’ ”un uomo di cerniera” e colpire lui significa ”aprire la strada all’insurrezione armata”. Secondo l’accusa, dunque, Ichino ”non e’ un simbolo e neanche isolato, ma e’ un elemento di un programma piu’ ampio”.