Sclerosi Multipla: dai neurologi uno “studio” sul Metodo Zamboni
Durante il 22° meeting della società europea di neurologia (ENS), che si è tenuto a Praga nel giugno scorso, alcuni neurologi italiani hanno presentato un poster intitolato “Trattamento endovascolare della CCSVI nei pazienti con sclerosi multipla: risultati clinici di una coorte italiana di 251 casi”.
Secondo gli autori coordinati dal dr. A. Ghezzi e dal dr. G. Comi, anche se la relazione tra SM e CCSVI non sarebbe definita e non vi sarebbe alcuna dimostrazione provata che il trattamento endovascolare della CCSVI sia efficace per migliorare l’evoluzione della SM, molti pazienti decidono di sottoporsi a tale trattamento.
Il gruppo di studio sulla sclerosi multipla della società italiana di neurologia avrebbe così promosso uno studio multicentrico per raccogliere informazioni cliniche sui soggetti con SM che hanno spontaneamente deciso di essere sottoposti al trattamento endovascolare.
19 centri italiani di SM avrebbero partecipato a questo studio. E’ stato standardizzato un modello per la raccolta completa dei dati demografici, clinici, di MRI e della sicurezza. Sarebbero stati inclusi nel database tutti i pazienti con SM che hanno dichiarato (spontaneamente o perché invitati dai medici) di essere stati sottoposti al trattamento endovascolare della CCSVI.
Fino ad oggi sarebbero disponibili dati completi su 251 pazienti (età media 43,7 + / – 10 anni), il 43% con SM-RR, il 57% con SM-SP/ PP. Il punteggio medio di EDSS prima dell’intervento era 5,0 + / – 2.0. Dopo un follow-up medio di 23,6 + / – 20,1 settimane, la media di EDSS era 5,15 + / – 2.0 e 51 pazienti avrebbero sviluppato una ricaduta. I dati di MRI erano disponibili solo per 91 pazienti, dopo un follow-up di 21 + / – 19 settimane, che avrebbero mostrato la comparsa di nuove lesioni in T2 o lesioni captanti il gadolinio in 27 pazienti. Un miglioramento clinico soggettivo sarebbe stato riportato dal 52% dei pazienti, il 33% risulterebbe essere invariato e il 15% essere peggiorata. Nei pazienti soggettivamente migliorati la media pre-intervento di EDSS era 4,8 + / – 2.0, dopo l’intervento chirurgico sarebbe stata 4,9 + / – 2.0. Sarebbero stati osservati eventi avversi gravi in soli 6 casi: ematoma inguinale in 3, trombosi venosa giugulare in altri 3.
In conclusione, secondo gli autori, i risultati del loro studio, con la nota limitazione del modello osservazionale, non mostrebbero alcun evidente effetto benefico del trattamento endovascolare per la CCSVI nella SM. Gli effetti soggettivi positivi riportati da circa il 50% dei pazienti potrebbero essere in gran parte causati dall’alta aspettativa dei pazienti per un intervento chiamato “liberazione”. L’intervento non sarebbe del tutto esente da gravi eventi avversi che si sarebbero verificati, in 6/251 casi (2,4%).
Fonte: http://registration.akm.ch/einsicht.php?XNABSTRACT_ID=151926&XNSPRACHE_ID=2&XNKONGRESS_ID=165&XNMASKEN_ID=900
COMMENTO:
Le conclusioni di quello che questi autori definiscono come “studio” appaiono francamente discutibili e soprattutto “soggettive”.
Il metodo scientifico risulta largamente carente non essendo stata fatta una valutazione degli esiti vascolari degli interventi mediante un esame ecocolordoppler, onde poter escludere i casi di interventi non riusciti dove si sono verificate restenosi (che secondo il primo studio di Zamboni sono avvenute nel 50% delle vene giugulari trattate).
Anche la valutazione clinica degli outcomes neurologici sembra abbastanza carente, basandosi sul calcolo dell’EDSS (soggettivo) e su un numero limitato di controlli MRI, che invece andavano effettuati con modi e soprattutto tempi “standardizzati”.
Nelle conclusioni finali, nonostante che il 52% dei pazienti trattati abbia riferito al proprio neurologo di un miglioramento clinico (spesso associato alla diminuzione e/o scomparsa della fatica, ad un miglioramento e/o scomparsa dei disturbi vescicali e ad un generale miglioramento della qualità di vita) questi neurologi arrivano incredibilmente a non considerarli come “evidenti benefici”…
Infine, relativamente agli effetti avversi (assai modesti) va evidenziato che secondo questi dati si sarebbero verificati nel 2,4% dei pazienti trattati e dunque in una percentuale molto bassa.
Questa spazzatura priva di ogni criterio scientifico oltretutto acuisce le difficili relazioni neurologo – paziente. Con i loro sorrisini di compiacimento dicono, nonostante la metà dei malati dica di sentirsi meglio, che in realtà non è cambiato nulla.
NB: l’autore di questo commento è stato verosimilmente incluso nello studio.