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E’ morto Franco Califano

download (48)Franco Califano è morto nella sua casa ad Acilia. Malato da tempo, era nato nel 1938. Solo pochi giorni fa, il 18 marzo, si era esibito al Teatro Sistina di Roma.

Franco Califano, noto anche come Er Califfo o con l’appellativo Il Maestro  è stato un cantautore, poeta, scrittore e attore italiano.


Famoso per canzoni spesso da lui interpretate ma con altrettanta cura scrisse : Mia Martini (Minuetto, scritta in coppia con Dario Baldan Bembo e La nevicata del ’56 scritta nel testo con Carla Vistarini); Ornella Vanoni (La musica è finita, su musica di Umberto Bindi, scritta con Nisa, Una ragione di più, scritta con Mino Reitano); Peppino di Capri (Un grande amore e niente più, che vince il Festival di Sanremo 1973); Bruno Martino (E la chiamano estate, scritta in coppia con lo stesso Martino); Edoardo Vianello e Wilma Goich (Semo gente de borgata).Per Mina ha scritto l’intero album Amanti di valore (1974).

Come cantautore sono da annoverare tra i suoi grandi successi Tutto il resto è noia (su musica di Frank Del Giudice), Fijo mio (su musica di Amedeo Minghi) e brani come Tac, La mia libertà e Io nun piango (dedicata all’amico Piero Ciampi) canzoni di cui è autore anche della parte musicale, Ti perdo, Io per le strade di quartiere con la quale partecipa a Sanremo 88, Un tempo piccolo, brano reinciso dai Tiromancino. Franco Califano è anche autore di molte composizioni poetiche, spesso in forma di sonetto.

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Un commento

  1. Nel 1984 Francesco D. Caridi intervistò Franco Califano agli arresti perché accusato di essere camorrista dallo stesso pentito che accusò Tortora («Sono un imputatino così», Il Borghese 21 ottobre 1984). Si segnala quella intervista per i temi ancora attuali della giustizia e dei pentiti, in memoria del cantautore romano.

    Franco Califano, il cantautore accusato da un «pentito» di essere affiliato alla camorra, sta trascorrendo l’ultimo giorno di degenza in una cameretta del secondo piano dell’Ospedale San Filippo Neri, dove è stato ricoverato dopo un malore avuto nel carcere di Rebibbia. L’indomani rientrerà a casa, ma non libero: agli arresti domiciliari, resigli particolarmente duri dal divieto (lo revocheranno?) di usare il telefono e di ricevere amici. Sul letto d’ospedale sono sparpagliate molte lettere di solidarietà, che Califano legge attentamente. Una delle infermiere gli comunica sovente chiamate telefoniche di sue ammiratrici. Il cantautore non potrebbe ricevere nessuno, tranne l’avvocato e i familiari. È il primo pomeriggio. Incontriamo Califano prima che vengano a visitarlo la madre, la sorella e un nipote diciassettenne. Si sfoga subito con amara ironia. Dice: «Hanno fatto il cambio: fuori Tortora, dentro Califano. Altrimenti che avrebbero detto gli altri seicentoquaranta imputati in carcere… Non si spiega perché il mio arresto sia avvenuto dopo un anno dall’apertura dell’istruttoria. Non mi si può dire che il pentito si sia ricordato di me dopo un anno, perché, in mezzo a seicentoquaranta sconosciuti, i primi nomi che vengono alla mente sono quelli di Califano e di Tortora. E invece mi tirano in ballo dopo un anno.»

    Califano, hai notato una diversità di trattamento dell’opinione pubblica nei tuoi confronti rispetto a Tortora?
    « Tortora è l’immagine dell’Italia pulita, io ho la faccia del colpevole… Comunque ho avuto solidarietà da parte di tutti i cantanti, dal primo all’ultimo. Anche uomini politici sono venuti a trovarmi. Grippa, del Partito socialista, ha fatto un appello in mio favore direttamente a Pertini. »

    Tu sei imputato di associazione a delinquere di stampo camorristico e di traffico di droga. Ciò è molto grave.
    « Sono stato dichiarato camorrista dall’oggi al domani. È assurdo! Non ho mai conosciuto uno dei miei coimputati. Facevo spettacoli dappertutto, posso averne fatto uno anche per Cutolo, fatto sta però che Cutolo ai miei spettacoli non c’è mai stato. Posso aver fatto uno spettacolo in un locale di proprietà di un camorrista, ma chi poteva saperlo? Io bado soltanto ai contratti, ai soldi, e canto. Basta così. »

    Quando hai incontrato Melluso soprannominato «faccia d’angelo», il tuo accusatore?
    « L’ho visto per la prima volta al confronto giudiziario. Mi ha guardato con una faccia…”Franchino, dicci la verità…”, mi diceva, che faccia… È incredibile come i giudici possano rimanere coinvolti nelle chiacchiere di un tipo simile. “Sei scemo!”, gli ho risposto, e mi stavo alzando… Aveva cinque carabinieri attorno. I giudici avrebbero dovuto verificare le fesserie che Melluso diceva, ma non l’hanno fatto. Ha detto di avermi consegnato chili di “roba” a casa mia, in Corso Francia, nel sottoscala del numero 84. Ma io in Corso Francia non ho mai abitato, e per giunta s’è scoperto che al numero 84 non esiste sottoscala. Che vadano a vedere, a controllare. Questo è il mio processo, tre paginette di istruttoria contro le centocinquanta di Tortora e le trecento di ognuno degli altri. Sono un imputatino così. »

    Certo che tu non sei nuovo ad esperienze di carcerazioni…
    « No, e non escludo di ritrovarmici ancora in questo paese di merda, non escludo di ricadere in una trappola, te l’assicuro. Perché quando capiti in un ingranaggio, in questo schifo di paese che si dice civile… » (A questo punto la voce di Califano s’incrina per un attimo. Il cantautore fa una pausa ad occhi bassi, poi riprende.) « Il pentito non è credibile se non ci sono i riscontri. Ho detto ai giudici: “Andate a verificare e vedrete che questo Melluso vi sta prendendo per i fondelli, chissà da quanto tempo, pur di avere una riduzione di pena”. Certo, io ho precedenti penali, e quindi non sono credibile. »

    Pensi che possa essere stato innescato da qualcuno un meccanismo di vendetta?
    « E chi avrebbe potuto, e perché? Melluso è pazzo, basta vederlo, non c’è nemmeno bisogno di interrogarlo.»

    Come giudichi il caso del tuo collega Vasco Rossi, arrestato per spaccio di droga, ma prontamente rimesso in libertà?
    « Ti dico soltanto questo: che se un giorno mi trovassero in casa soltanto cinque grammi di cocaina, mi darebbero l’ergastolo. A me non hanno trovato mai niente, sono vent’anni che cercano… »

    In carcere, come sei stato trattato dagli altri detenuti e dalle guardie?
    « Sono stati tutti gentili. Se ti comporti bene, da uomo, nessuno ti dà fastidio. »

    Come giudichi l’operato dei magistrati?
    « Il giudice ha un enorme potere in mano. Si guardi, ad esempio, il caso del brigatista Naria. S’incavola Pertini, s’incavola Craxi, ma il magistrato gli rifiuta gli arresti domiciliari. Io non credo più al motto “La legge è uguale per tutti”. Uguale per chi? Sono parole, dovrebbero toglierle dai tribunali. Succedono cose che hanno dell’incredibile: ti torturano psicologicamente, sono diventati carnefici. »

    La tua attività discografica è bloccata. Ce la farai a riprenderla?
    « Ho avuto perdite considerevolissime in seguito a questa vicenda. C’è poi l’incognita: non so che situazione troverò, una volta in libertà. Sono preoccupato per il mio lavoro e perla mia salute. A me hanno dovuto dare gli arresti domiciliari per forza, c’erano i cardiogrammi. Intanto ho scritto una canzone per un nuovo disco, dal titolo “Impronte digitali”, che riecheggia un po’ la mia esperienza. La inciderò a casa mia, se me lo permetteranno. Dovrò far portare tutto il banco d’incisione, spero che non mi neghino il permesso. Eppoi mi hanno vietato l’uso del telefono. Assurdo! Se pensano che lo possa usare malamente, possono mettermelo sotto controllo. E se ho bisogno di un aiuto, che faccio? Io vivo da solo. Tanto valeva stare a Rebibbia… »

    Che cosa pensi della scelta parlamentare di Tortora?
    « Io non avrei mai accettato di candidarmi. Tortora ha fatto un passo pericoloso, non rientrerà più nel mondo dello spettacolo. Dovrà fare soltanto politica. Per uno come lui che si trova, a cinquantacinque anni, a fare l’onorevole dopo una vita di spettacolo, è terribile. »
    (© 1984, Francesco D. Caridi)

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