Telefonia mobile: compagnie condannate per aver tolto autoricarica
Deve essere rimborsato il consumatore che si è visto levare l’autoricarica a seguito della scadenza introdotta dalla compagnia telefonica. Il gestore non può stabilire unilateralmente modifiche al contratto con condizioni economiche peggiorative per l’utente
Basta con gli abusi delle compagnie telefoniche che modificano unilateralmente ed in senso peggiorativo le condizioni contrattuali a carico dei propri utenti.
Ad evidenziarlo Giovanni D’Agata presidente e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che porta all’attenzione la significativa sentenza del Tribunale di Foggia, la numero 2218/2013 che ha stabilito il diritto al rimborso per l’autoricarica scaduta per l’utente che ha perso il suo credito a seguito della scadenza introdotta dal gestore di telefonia. Ciò in virtù di quanto statuito dalla legge che vieta l’introduzione di condizioni che peggiorano la posizione del consumatore. Tanto vale di più con la normativa “Bersani” del 2007 sulle liberalizzazioni.
Nel caso preso in esame dal tribunale di capitanata che ha accolto la domanda di un consumatore che aveva chiesto di essere rimborsato di 2.300 euro per il credito corrispondente a una ricarica maturata, ma poi fatta scadere dal gestore in virtù di una modifica contrattuale inserita senza che questi avesse presto il proprio consenso in merito.
Sottolinea il giudice monocratico che in materia di telecomunicazioni, la possibilità di introduzione di vincoli di durata a eventuali offerte promozionali comportanti prezzi più favorevoli per il consumatore, prevista dall’art. 1 del decreto Bersani (D.l. 7/2007), deve essere intesa nel senso che l’operatore può decidere, per il futuro, di incidere sulle modalità di fruizione di crediti acquisiti attraverso offerte promozionali, non anche per quelli acquisiti antecedentemente, definiti al sorgere del rapporto illimitato.
Se però il togato ha riconosciuto il danno patrimoniale ha tuttavia rigettato, nella fattispecie quello danno non patrimoniale per il quale il consumatore aveva proposto apposita richiesta di risarcimento. In proposito, sulla scia di un precedente di legittimità (in particolare la famosa sentenza della Cassazione n. 26972/2008 pronunciata a Sezioni Unite) secondo cui “il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico , danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore – uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione“.
Alla compagnia telefonica non resta che pagare il danno patrimoniale e le spese di lite che seguono la sua soccombenza.