Editoriali

XIX Roma Film Festival Dario Argento al cinema Trevi dal 16 al 24 dicembre

download (2)«Sono particolarmente contento quest’anno di poter dedicare la XIX edizione del Roma Film Festival a Dario Argento al quale mi lega una lunga amicizia, che è stata rafforzata da molteplici occasioni di lavoro e collaborazione insieme in circa cinquanta anni della nostra esistenza. Abbiamo attraversato insieme varie fasi della nostra vita professionale che ci ha visto, ciascuno nel suo ruolo, confrontarci in momenti speciali che hanno lasciato un segno.


Dario inizia ad occuparsi di cinema come giornalista e sceneggiatore, mentre io entro a far parte del mondo degli uffici stampa delle grandi major americane nel periodo del massimo splendore. Ricordo che quando ero giovanissimo capoufficio stampa della United Artists invitavo Dario insieme ad altri storici critici alle anteprime che organizzavo prima delle uscite in sala di ciascun film. Debbo dire che per noi vivere un momento magico del cinema come quello che stavo descrivendo è stato sicuramente un grande privilegio, basti pensare che Dario ha avuto la possibilità di scrivere insieme a Bernardo Bertolucci per Sergio Leone C’era una volta il West, uno dei capolavori più importanti della storia del cinema. Quando poi decide di scrivere e di dirigere lui stesso L’uccello dalle piume di cristallo, affrontando una serie di vicissitudini iniziali per produrre il film, si ritrova al suo fianco, oltre al supporto fondamentale del padre Salvatore uomo di grande esperienza e di grandi intuizioni, un giovane direttore della fotografia come Vittorio Storaro ed un musicista come Ennio Morricone che contribuiranno a creare con lui un film che sancisce una nuova epoca nella storia del “giallo all’italiana”. Quel ragazzo di ventinove anni, caparbio e deciso spinto da un’incredibile forza interiore, confeziona un gioiello con delle qualità registiche fuori dall’ordinario che imprimono un tocco tutto personale fin dalla sua opera prima e caratterizzeranno via via tutto il suo cinema. L’uccello dalle piume di cristallo diventa un punto di riferimento per gli studiosi di cinema italiani e non solo e segna il successo senza precedenti di un giovane autore esordiente in competizione con i mostri sacri del cinema degli anni ’70. Arriviamo a Profondo rosso, altro capitolo fondamentale della filmografia di Dario che racconta nel suo libro Paura, uscito recentemente, e di come fosse rimasto colpito dalla interpretazione di David Hemmings nel film capolavoro di Michelangelo Antonioni Blow up, tanto da sceglierlo per il ruolo principale nel suo film. Profondo rosso, presentato nella rassegna dedicata al regista in versione restaurata dalla Cineteca Nazionale, gli valse il titolo di “erede di Hitchcock” e rappresenta, in qualche modo, l’apice stilistico e creativo di Dario segnando la linea di confine tra l’iniziale fase thriller e quella più specificatamente horror che sarebbe stata da lui sviluppata in seguito. Come ho anticipato all’inizio è un grande privilegio poter assegnare a Dario quest’anno il Premio 2014 del XIX Roma Film Festival, da me creato per riportare alla luce il lavoro di alcuni dei nomi eccellenti del cinema italiano e consentire alle nuove generazioni di riscoprire il cinema che ha attraversato due secoli di storia del nostro paese. Infine desidero ringraziare le Istituzioni che ogni anno supportano il Roma film Festival: il Ministero per i Beni e le attività culturali Direzione Cinema, la Regione Lazio, il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale divenuto ormai nostro partner storico; nonché tutti coloro che con il loro apporto hanno contribuito alla realizzazione di questo evento che vuole essere un ulteriore atto di stima e di affetto nei confronti di Dario» (Adriano Pintaldi, Presidente del Roma Film Festival).

 

martedì 16 dicembre

 

ore 17.00 L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento (1970, 96’)

«Sam, scrittore americano venuto a Roma in cerca d’ispirazione, vi trova invece una spaventosa avventura. Poche sere prima della data fissata per il ritorno in patria con la sua ragazza, Movita, gli accade di essere testimone di un tentato assassinio. Chiuso tra le porte di vetro di una galleria d’arte, egli vede una bella donna colluttare con un individuo tutto vestito di nero, che poi fugge, lasciando la donna accoltellata al suolo. Qualcosa, in tale visione, non quadra. Ma che cosa?» (Biraghi). «Tutto lo sforzo del protagonista sarà quello di ricostruire, retrospettivamente, una scena cui ha assistito un’unica volta: la memoria, purtroppo, non è una moviola, e Argento ne mima l’impotenza continuando a mostrarci porzioni della sequenza senza mai svelarcene l’elemento decisivo, il tratto distintivo dove risiede la chiave dell’enigma» (Pugliese).

Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale per gentile concessione di Titanus Film

 

ore 19.00 Il gatto a nove code di Dario Argento (1971, 112’)

«Un enigmista cieco, impersonato da Karl Malden, passeggiando in strada, con la nipotina di dieci anni ode i frammenti di una conversazione dalla quale arguisce trattarsi di un ricatto. Poco dopo un guardiano di un importante Istituto di Genetica, viene tramortito da uno sconosciuto che penetra nell’istituto senza rubare niente. Il giorno seguente, uno scienziato dell’istituto stesso viene spinto sotto un treno dalla pensilina della stazione da una mano ignota che però un fotografo di un giornale riesce a riprendere. […] Il gatto a nove code è un film geometrico e lucido che ha dalla sua una notevole spettacolarità d’impianto e una forte, sia pur rozza, carica di suspense. L’ombra del dubbio cade di volta in volta sui principali personaggi del film, per arrivare infine a una soluzione ingegnosa alla quale nessuno ha certamente pensato. Così come è ingegnoso il movente in un certo senso scientifico dei cinque delitti» (Onorato Orsini). Volevo fare un film un po’ diverso da L’uccello dalle piume di cristallo, non volevo ripetermi. Credo di aver fatto un film un po’ all’americana, con attori protagonisti americani, ispirato a quei film di detection tipicamente americani. Forse proprio per questo motivo non ne rimasi molto soddisfatto, forse oggi ritornerei sul mio giudizio, ma penso che certi dialoghi e certi personaggi abbiano tradito un po’ il mio stile» (Argento).

Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale per gentile concessione di Titanus Film

 

ore 21.00   incontro con Dario Argento

moderato da Adriano Pintaldi

 

 

a seguire Profondo rosso di Dario Argento (1975, 130’)

«Se l’estrema ambizione di Dario Argento è di restituire ai reduci dai suoi spettacoli il gaudio di sobbalzare a ogni scricchiolio, di guardare sotto il letto e raddoppiare la dose di tranquillante, il “terrorista” del cinema italiano può dirsi contento. Era infatti un bel po’ che un film non prendeva altrettanto allo stomaco e popolava i nostri sonni di incubi così barbari. Perché Profondo rosso è malfermo e tutto epidermico, ma al traguardo della paura va molto vicino: la ragione scalpita, e indispettisce sentirsi coinvolti in un cervellotico congegno, e tuttavia il cuore batte più svelto. Mamma mia, che impressione. Il fattaccio comincia a una seduta di parapsicologia, dove una signora “sente” i pensieri cattivi di un criminale. La poverina ha tanta ragione che dopo poco sente anche spaccarsi la testa da un’accetta. Chi sarà mai l’assassino? Mentre la polizia si gingilla, Marcus, un pianista inglese di jazz che lo ha intravisto, ma non è in grado di riconoscerlo, si intestardisce a scoprirlo, insieme con una giornalista in cerca del solito colpo, tal Gianna. È ovviamente un cacciarsi nei guai» (Grazzini).

Ingresso gratuito – Copia restaurata dalla Cineteca Nazionale

 

mercoledì 17 dicembre

 

ore 17.00 Le cinque giornate di Dario Argento (1973, 122’)

Il film più anomalo nella filmografia argentiano. Un’incursione nella Storia, nella quale il regista non rinuncia a inscenare l’orrore e la crudeltà, in questo caso della guerra. Argento fu voluto dagli attori, a cominciare dal protagonista Adriano Celentano. Da riscoprire. «Le cinque giornate è un film crudele, assai poco allineato con i tempi: alla decostruzione della favolistica rivoluzionaria Argento non contribuisce con procedimenti contro storici alla Vancini o atteggiamenti stoici alla Leone ma, ancora una volta, indugiando nel massacro, nella carneficina, nella spendibilità dei corpi umani. Le numerose truculenze allineate nel film giocano così una funzione per la prima volta quasi romeriana: la morte non è più tassello di un edificio estetico coerente, di un progetto logico-matematico (sia pur svolto nel cono d’ombra della follia individuale), ma gratuito, empio smembramento di carni, ammassamento di atrocità quasi risibili, sguardo osceno sul nulla e sull’idiozia» (Pugliese).

 

ore 19.15 Suspiria di Dario Argento (1977, 100’)

«Una laurea honoris causa in tecnologia degli spaventi. Dario Argento non merita niente di meno per un film che probabilmente farà epoca nel cinema della pelle d’oca. Anche il pubblico più refrattario ai brividi del giallo suderà freddo, stavolta; e sarà difficile d’ora in poi non comprendere Dario Argento in quel pugno di registi che grazie all’eccellenza del mestiere tengono a galla il cinema italiano. I teorici dell’impegno politico e sociale non saranno d’accordo, ma poco male: Suspiria ritrova le radici fantastiche del cinema, facendo leva sul colore e sul sonoro, con una furbizia spettacolare cui si deve tanto di cappello. Naturalmente accadono cose da pazzi nella casa che si suppone essere stata di Erasmo, l’autore dell’elogio della pazzia. Siamo in Germania, a Friburgo, dove la giovane Susy, un’americana, è venuta a studiare in una famosa accademia di danza» (Grazzini). «Suspiria è nato dal mio desiderio di sganciarmi dalla realtà e di librarmi in un mondo assolutamente fantastico. Volevo girare una favola e nello stesso tempo volevo parlare di stregoneria, perché in quel periodo il mio interesse era stato risucchiato dall’esoterismo. La fiaba di Biancaneve e i sette nani fu il punto di partenza per la storia» (Argento).

 

ore 21.00 Inferno di Dario Argento (1980, 107’)

L’inferno argentiano: “tre madri” nascoste nei sotterranei di tre palazzi a Roma, New York, Friburgo, costruiti per loro da un architetto-alchimista, autore di un libro maledetto. «È una storia che si ispira all’alchimia moderna, alchimia di oggi, alchimia dei nostri giorni. Il mio film vuole esplorare e trovare le chiavi dei grandi segreti della vita e della morte» (Argento).

 

giovedì 18 dicembre

 

ore 17.00 Tenebre di Dario Argento (1982, 101’)

Uno scrittore americano di polizieschi, venuto a Roma per presentare il suo ultimo libro, si trova invischiato in un giallo. «La trovata di Argento, che si è scritto il soggetto e la sceneggiatura da solo, è questa: a metà del film viene ucciso anche l’assassino! Ma chi ha ucciso allora l’assassino? E perché i delitti continuano a ripetersi? Questo risvolto esce un po’ dalla norma del giallo, così come il convulso finale» (Cosulich). «Ho lavorato con il nostro grande direttore della fotografia Luciano Tovoli: abbiamo voluto una luce metallica, solare in una Roma moderna d’acciaio e cemento, per nulla barocca o decadente. La nostra è una Roma cattiva, con una luce fredda e totale contrapposta alle tenebre dell’anima, della mente. La città diventa un puzzle di immagini» (Argento).

 

ore 19.00 Phenomena di Dario Argento (1985, 109’)

«C’è una sperduta regione della Svizzera infestata da un pazzo che da anni va assassinando fanciulle trafugandone il corpo. C’è un collegio femminile dove arriva fresca fresca la protagonista, con il suo sonnambulismo e la sua misteriosa capacità di comunicare con gli insetti. C’è un entomologo paralitico (Donald Pleasence) con scimmietta-infermiera (determinante, come gli insetti, nella soluzione della vicenda). E soprattutto ci sono una serie di orrori insostenibili» (Ferzetti). «A sensazione, a pelle, in Phenomena ci trovo tante cose mie. Tanto mio cinema. Ma anche tante storie private. Tanti personaggi che ho conosciuto, che ho amato, che mi hanno amato, cui ho fatto del bene, che mi hanno fatto del male, che ho aiutato, che mi hanno tradito, che non conosco, che non conoscerò mai. Per me, samurai, è stato come un viaggio mistico quindi, quasi religioso, tra bellezze ed orrori, tra sensazioni tenere e terribili» (Argento).

 

Fantafestival presenta: Tutto quel blu

Più nero del nero. Più rosso del rosso. Più blu del blu. Cristiana Astori prosegue nei suoi gialli cinefili e “cinetecari”, basati su rulli mancanti di misteriosi film, enigmatici collezionisti di pellicole rare, strani riti esoterici, storie maledette di attori e registi del bel tempo che fu, terribili omicidi che emulano quelli sul grande schermo. Tra cinema e vita il confine è sottile come la lama di un coltello. È la morte ad abbattere ogni tipo di soglia. Scrittrice e traduttrice, ha pubblicato per il Giallo Mondadori il romanzo Tutto quel nero, seguito nel 2012 da Tutto quel rosso (Giallo Mondadori) e dall’ebook Il buono, il bruto e la bionda (Milano Nera). Nel 2013 sul Dylan Dog Color Fest n. 11 esce la sua storia Per il verso sbagliato. Ha tradotto autori come Jeffery Deaver, Douglas Preston, Richard Stark e il ciclo di Dexter di Jeff Lindsay che ha ispirato l’omonima serie tv. La sua antologia Il Re dei topi e altre favole oscure (Alacran, 2006) è il primo libro italiano a cui J. R. Lansdale abbia dedicato una frase di lancio. Jess Franco, Soledad Miranda, Dario Argento sono attori “involontari” dei suoi gialli e non poteva mancare per chiudere la trilogia Tutto quel blu (Giallo Mondadori, dicembre 2014), dedicato a un altro film scomparso, L’autuomo (1984), di un misterioso regista, Marco Masi. Ma come in un giallo a scatole cinesi durante la presentazione di Tutto quel blu, riappariranno L’autuomo insieme al regista. Più vero del vero. Più falso del falso. Più giallo del giallo.

ore 21.00 incontro con Cristiana Astori, Marco Masi, Adriano Pintaldi, Alberto Ravaioli

moderato da Steve Della Casa

nel corso dell’incontro sarà presentato il libro di Cristiana Astori Tutto quel blu

a seguire L’autuomo di Marco Masi (1984)

«In seguito ad una conferenza stampa, ove viene presentato al pubblico il prototipo degli Androidi “Drusilla”, Abele comprende una grande verità: è inutile che gli uomini si affannino a costruire, progettare, immettere nel mondo dei consumi gli automi. Essi esistono già da più di mille anni: gli stessi uomini sono delle macchine!» (Anica). «Il film, citato erroneamente in qualche catalogo come L’autonomo, risulta inedito» (Poppi).

Ingresso gratuito

 

venerdì 19 dicembre

 

ore 17.00 Opera di Dario Argento (1987, 105’)

«Si comincia con il Macbeth di Verdi e con la curiosa diceria, diffusa degli ambienti lirici, che porti sfortuna. Durante le prove, infatti, il soprano ha un incidente d’auto, così, quasi alla vigilia di andare in scena, lo sostituisce una giovanissima collega, Betty, ancora agli esordi. Questa Betty, però ha un amichetto e la sera stessa della prima, che per lei è stata un vero trionfo, un individuo mascherato lo uccide selvaggiamente di fronte a lei, dopo averla legata e dopo averla obbligata, con dei punteruoli sotto gli occhi, a vedere fino in fondo l’orribile scena. Siamo agli inizi» (Rondi). «I corvi scritturati per il mio film Opera […] sono stati bravissimi. Non soltanto si sono dimostrati “gli attori” migliori del cast, ma a un certo punto hanno anche organizzato un ammutinamento contro il regista e il sottoscritto si è ritrovato ferito alla bocca e «beccato» in più parti del corpo. Però avevano ragione loro: avevo chiesto troppo alle loro forze sia pure nel rispetto degli animali, da me sempre dimostrato sui miei set con vermi, mosche, topi, lumache, ragni africani & C. Così i corvi si sono ribellati: certo qualche corvo imperiale, nell’alto dei cieli, doveva aver raccontato loro la trama e le vendette degli Uccelli di Hitchcock!» (Argento).

 

ore 19.00 Il gatto nero di Dario Argento (ep. di Due occhi diabolici, 1990, 40’)

«L’ossessione d’un fotografo di cronaca nera (ancora di Pittsburgh), tale Rod che di cognome, vedi caso, si chiama Usher, perseguitato dallo sguardo d’una gatta in cui legge una demoniaca aggressività. […] Fedele alla propria vocazione, Dario Argento manovra la follia e il delirio con una forte fantasia visiva […], e amministra gli effetti in modo giudizioso. N’esce un racconto, interpretato efficacemente da Harvey Keitel e Madeleine Potter, dove l’alcool alimenta il sadismo in un universo di perverse fascinazioni, avvicinato abilmente alla realtà da potenti temporali» (Grazzini). «Sono andato a Baltimora […] e nel piccolo, segreto giardino di una chiesa gotica ho trovato non una, ma due tombe del mio sventurato, nevrotico e miserabile amico [Edgar Allan Poe, n.d.r.] senza un penny, che resta a mio parere il più grande romantico della sofferenza umana e della paura. Così ho deciso di girare un piccolo film nel film per i titoli di testa e ho fermato l’occhio della mia un po’ perversa cinepresa sulla prima tomba di Poe, che è completamente coperta da pennies di “copper” (rame) perché i suoi estimatori continuano a fare per lui una povera colletta» (Argento).

 

ore 20.00 Trauma di Dario Argento (1993, 110’)

Una ragazza anoressica, figlia di romeni immigrati in America, scappa dalla clinica psichiatrica a Minneapolis, mentre la città è sconvolta da una serie di delitti a catena. «In origine il film (soggetto Argento più T. E. D. Klein) s’intitolava L’enigma di Aura, più adatto allo spunto poco sviluppato, purtroppo, della piccola anoressica. Ma alla fine, quando scorrono i titoli di coda, corre un brivido sullo schermo alla carrellata su scheletriche teen-ager danzanti per le strade di Minneapolis (“ne muoiono a migliaia”) popolazione di zombie, che rifiutano un’identità sessuale deformata e la mistica della maternità, all’origine, vedrete di ogni efferate delitto». «Mentre giravo in America Due occhi diabolici, tre anni fa, scrissi un breve racconto intitolato L’enigma di Aura. Poi, mano a mano è nata la sceneggiatura. Ma non parla solo di amore: ci sono dentro la famiglia come luogo di disagio e malattia, il tema dell’emarginazione, le capacità medianiche, i disturbi psichici…» (Argento).

 

sabato 20 dicembre

 

ore 17.00 La sindrome di Stendhal di Dario Argento (1996, 119’)

«È bellissima l’intuizione del soggetto, firmato da Dario Argento e Franco Ferrini: una specie di fermentazione diabolica dell’interessante e poco frequentato saggio di Graziella Magherini […] che esplora in tutte le sue connessioni il quadro clinico della cosiddetta “sindrome di Stendhal”. […] Lo stordimento provocato dall’arte – soprattutto in relazione agli episodi di sofferenza mentale riscontrati nei turisti moderni, così in balia di emozioni precarie ed irregolari – è un geniale pretesto per l’atteso ritorno di Argento, cineasta prestidigitatore di inconsci […] a lungo snobbato dalla mezzacultura cineclubistica» (Caprara). «I colori della paura. Il rosso e nero. E l’Argento. Ossia: Stendhal (e non solo come “sindrome”) e l’arte, l’arte come vertigine estetica (estatica), la vertigine come provocazione cinematografica, il cinema come manifestazione del turbamento sensuale (e spirituale), l’eros come devianza. La sindrome di Stendhal – un ritorno alla classicità dopo la fase gore – è un’opera auto-riflessiva, minimalista e, in un certo senso, teorica. L’assassino è subito svelato, la suspense azzerata ai minimi termini, la densità d’orrore lungi dall’accumularsi spasmodicamente. […] Mai come ne La sindrome, Argento riflette sui meccanismi del cinema come arte della rappresentazione» (Bo).

 

ore 19.15 Il fantasma dell’opera di Dario Argento (1998, 106’)

«Come ognun sa la storia è quella dell’amore folle del Fantasma, salvato dalle acque da una tribù di topi e cresciuto nei sotterranei del teatro lirico di Parigi, per la giovane cantante Christine: amore deluso e tradito, che produce nel Fantasma un furore vendicativo e omicida. Ma l’Argento postmoderno si limita a usare la trama come riferimento, citandola, sottintendendola quasi, per concentrarsi sulla proliferazione visiva che l’occasione gli offre» (Nepoti). «Il film è una storia d’amore nera, con Christine divisa tra il richiamo e il cupo del Fantasma e il rapporto rassicurante con il giovane barone. Sono contento di aver recuperato un altro elemento, l’ironia, è grottesco l’ambiente dell’opera o la vicenda della soprano Nadia Rinaldi. C’era ironia nei miei primi film, fino al ’74/’75, e poi l’ho persa, le storie sono diventate più furiose, incanaglite. In quegli anni guardandosi intorno c’era ben poco da ridere, ma mi dispiaceva, perché a me piace molto ridere» (Argento).

 

ore 21.10 Non ho sonno di Dario Argento (2001, 117’)

«Stefano Dionisi, tormentato dalla morte della madre proprio come l’alter ego romanzesco del geniale giallista Ellroy, s’allea con l’insonne e smemorato commissario in pensione Max Von Sydow per scavare nei labirinti del male, ricomporre le tessere del mistero e inchiodare l’assassino tornato furiosamente all’opera. Le stravaganti incongruenze drammaturgiche diventano così peculiarità espressiva, astrazione iconografica o, meglio, vere e proprie amnesie che s’incastonano in un’abissale sinfonia del crimine in cui contano infinitamente di più le carrellate acrobatiche, la decapitazione di un cigno, il rantolo di un asmatico, l’incubo antico dell’annegamento…» (Caprara). «In Non ho sonno viene rappresentato questo contrasto tra il giovane, calcolato e razionale, e il vecchio, pensieroso e pieno di fantasia; l’anziano commissario, diversamente dal più giovane collega, esamina attentamente anche le contraddizioni del linguaggio, i molti segnali lasciati inavvertitamente dall’assassino. Non ho sonno è così la storia di una doppia indagine che viaggia in parallelo» (Argento).

 

domenica 21 dicembre

 

 

ore 17.00 Suspiria di Dario Argento (replica)

 

ore 19.00 Inferno di Dario Argento (replica)

 

ore 21.00 La terza madre di Dario Argento (2007, 95’)

«La scena si apre sul cimitero di Viterbo, su uno scavo, sul ritrovamento di una antica tomba e di un’urna. Un prete, una studiosa, una giovane ricercatrice (Sarah-Asia Argento), pagheranno ovviamente per la loro curiosità. A fare le spese del dissotterramento però non sono solo singoli, ma un’intera città, Roma, improvvisamente invasa da un nugolo di streghe pronte a far capitolare la caput mundi per la seconda volta. Questa la scarna, ma rigorosa trama de La terza madre. Gli elementi che gli appassionati del genere horror amano, ci sono tutti o quasi, enfatizzati dalla musica (anche questa scontata, nel miglior senso del termine. Firmata Simonetti). Elementi a cui Argento aggiunge – coadiuvato pesantemente da due giovani sceneggiatori americani del genere zombie – una quantità insolita e appetitosa di morti splatter (alcune magistralmente realizzate negli effetti dal solito Stivaletti), un coté stregonesco a tinte darkpunk (la cosa meno riuscita del film, peccato), la scelta di una Roma più gotica che barocca, truculenta quanto tristemente verosimile nella sua violenza che le streghe diffondono come peste» (Ronconi).

 

 

Cinema Trevi – vicolo del puttarello, 25 – Roma   ingresso 4 euro,    rid. 3 euro

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