L’ovulo umano manipolato ma non fecondato può essere brevettato a fini industriali.
Per la Grande Sezione per aversi un vero embrione deve sussistere la capacità intrinseca che si sviluppi in individuo: tale condizione non si configura nel processo di sviluppo iniziato dopo la partenogenesi
Certamente farà discutere per le implicazioni bioetiche la sentenza C-364/13, pubblicata il 18 dicembre dalla Corte di giustizia europea secondo cui un ovulo umano manipolato ma non fecondato può essere brevettato a fini industriali.I Giudici della Grande Sezione della Corte, ritengono così che per essere qualificato come embrione, un ovulo umano non fecondato deve necessariamente avere la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano: un ovulo attivato per partenogenesi che abbia iniziato un processo di sviluppo non può essere considerato come un embrione umano.Una statuizione che nei fatti ribalta un precedente del 2011della stessa Corte, quando aveva stabilito che «la nozione di embrione umano comprendeva gli ovuli umani non fecondati» in quanto «tali ovuli erano tali da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano», il che li rendeva non brevettabili.
Ora i giudici europei si spingono oltre evidenziando che ciò non necessariamente avviene in tutti i casi. «Il solo fatto che un ovulo umano attivato per partenogenesi inizi un processo di sviluppo non è sufficiente per considerarlo un embrione umano».In via definitiva: quando può essere dimostrato che da un ovulo non potrà derivare un essere umano, allora l’uso di tale ovulo risulta brevettabile a fini industriali o commerciali.Il caso era partito da un ricorso della multinazionale del settore biotech che ritiene appunto che gli ovuli da essa usati nei suoi processi industriali non siano in grado di svilupparsi in esseri umani.Non mancherà chi si scandalizzerà per questa decisione, sottolinea Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti” che al contrario lo ritiene un importante passo avanti verso la scienza e la ricerca fatto dalla giurisprudenza europea.
Lecce, 19 dicembre 2014
Giovanni D’AGATA