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Rovigo, la città e la leggenda delle rose

Rovigo è detta la città delle rose. Secondo la leggenda il suo nome è da ricondurre al termine greco rosa.

Rovigo, la città delle rose

Rovigo è detta la città delle rose. Secondo la leggenda il toponimo sarebbe da ricondurre al greco rhodon, ossia rosa.

La storia vuole che un gruppo di greci capeggiati da Diomede fossero giunti nel Polesine.

 Dopo aver osservato la fioritura spontanea di rose, i nuovi arrivati decisero il nome del loro centro abitato. Si sarebbe chiamato Rovigo, in onore delle profumate rose che lì nascevano in grande quantità.

La tradizione è poi suffragata anche da alcuni scrittori, come Ludovico Ariosto. Nell’”Orlando furioso”  spiega che il nome cittadino ricorda la grande produzione di rose che caratterizzava il territorio. 

In realtà, la città veneta è stata fondata dai romani, come testimonia un documento del 838. Dopo momenti di splendore e di crisi diventa un possedimento austriaco, fino all’unificazione italiana.

Rovigo custodisce importanti opere d’arte e monumenti antichi. In centro si può ammirare la torre Donà, la più alta del nostro Paese. Il Polesine è caratterizzato da paesaggi lacustri spettacolari, incastonati fra l’Adige ed il Po.

Cloris e la leggenda della rosa


Le rose sono protagoniste di miti e leggende antichissime. Secondo una leggenda greca, un giorno Cloris trovò, in un bosco,  il corpo esanime di una ninfa. Impietosita decise di renderle onore trasformandola in un bellissimo fiore. Per riuscirci chiese a Dioniso di regalare alla ninfa un profumo inebriante mentre Afrodite donò la bellezza. Cloris poi si rivolse alle tre Grazie che resero il fiore gioioso ed affascinante. Invece, Apollo lo baciò con i raggi di sole. Il profumato fiore fu poi portato in dono al dio dell’amore Eros che conquistato dal suo aspetto seducente la incoronò come la più bella fra i fiori.

Invece, un’altra leggenda lega questi fiori a san Francesco d’Assisi. Durante una strenua lotta col demonio, il futuro santo per non cadere in tentazione scappa dalla sua cella della Porziuncola. Si getta su un roseto che per non ferire il corpo del poverello perde immediatamente tutte le sue spine. Erano diventate della specie rosa canina assisiensis e, allora come oggi, continuano a regalare meravigliosi fiori.

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