Donne e Impresa in Sardegna
Fatica e resilienza: ecco il 2022 visto dalle imprenditrici. L’analisi delle aziende guidate dalle donne e il sondaggio di Confartigianato in occasione de “La giornata internazionale della donna”. Maria Amelia Lai (Presidente Confartigianato Sardegna): “Impegnarci per far crescere le imprese al femminile: PNRR occasione senza precedenti”. Continuano a persistere le disparità tra uomo e donna.
Nel 2021 in Sardegna sono 39.374 le imprese guidate da donne, registrate presso le Camere di Commercio, che operano per lo più nei settori dei servizi alla persona e della pulizia, della moda e delle attività di ristorazione: queste rappresentano il 23,9% di tutte le realtà produttive dell’Isola. Ben 4.327 aziende sono gestite da giovani donne (11% del totale delle imprese femminili artigiane). Su tutta la platea delle donne imprenditrici, quasi 5.946 sono imprese artigiane.
Sono questi i numeri che emergono dall’analisi sulle imprese al femminile, realizzata per “La giornata internazionale della donna”, dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna. Il raffronto tra il 2019 e 2021, tenendo conto che tra le imprese registrate viene conteggiata anche la platea nascosta di quelle cessate, che in attesa di ristori, non hanno ancora chiuso, delinea una seria difficoltà del settore nel recuperare i numeri pre Covid-19.
Donne e impresa: post covid tra fatica e lavoro
“Il 2020 delle donne imprenditrici ha subìto chiaramente gli effetti della pandemia – afferma la Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna, Maria Amelia Lai – il calo del tasso di occupazione complessivo ha risentito in particolar modo della contrazione relativa ai lavoratori indipendenti: tra questi, le donne sono risultate maggiormente penalizzate”. “Anche per questo dobbiamo impegnarci a far crescere il numero delle imprese guidate da donne – continua la Presidente Lai – e le linee del Fondo Impresa Femminile (nella legge di bilancio 2021 sono i 40 mln di euro integrati con ulteriori 400 milioni, secondo quanto previsto dal PNRR), puntano proprio sugli investimenti; il primo per l’avvio dell’attività e sostegno alle nascita delle imprese femminili mentre il secondo per il consolidamento e rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale delle imprese femminili. L’ultimo punto, invece, è dedicato a programmi e iniziative per la diffusione di cultura imprenditoriale femminile e programmi di formazione e orientamento verso materie e professioni in cui la presenza femminile è ancora marginale”.
A livello territoriale, nella vecchia provincia di Cagliari le imprese donna sono 16.114 di cui 2.464 artigiane (15,3% sul totale imprese donna), su Sassari-Gallura sono 12.652 di cui 2.075 artigiane (16,4%), a Nuoro sono 7.456 di cui 1.056 (14,2%) artigiane e a Oristano 3.132 con 350 artigiane (11,2%).
Il sondaggio nazionale di Confartigianato sulle donne imprenditrici
Confartigianato, a livello nazionale, ha elaborato un sondaggio con l’obiettivo di capire come le imprenditrici artigiane avessero iniziato questo 2022.
Fatica e resilenza: keyword delle donne
Dalle risposte, sono essenzialmente due le parole chiave che sono apparse in ogni risposta: fatica e resilienza.
Fatica, perché nonostante il 2021 sia stato l’anno della ripartenza, le MPI e imprese artigiane femminili non sono state in grado di recuperare i livelli di fatturato pre-crisi e hanno registrato una variazione media dei ricavi, nel 2021 rispetto al 2019, negativa del -9,7%, più pesante rispetto al -8,8% totale. Tale risultato trova spiegazione nella maggior presenza di artigianato capitanato da donne in alcuni dei settori più colpiti dalla crisi Covid-19 come quello della moda e del benessere.
Resilienza, perché anche se più colpite dalle conseguenze della pandemia, le imprenditrici artigiane si dimostrano più combattive e pronte a reagire adottando, o esprimendo l’intenzione di adottare nel prossimo futuro, una o più azioni di sviluppo per riuscire a restare sul mercato incrementando la propria capacità competitiva, come dichiarato dal 61,2% di loro, quota superiore al 55% totale.
Su queste difficoltà, le azioni per ripartire maggiormente intraprese dalle donne a capo d’impresa sono state: il miglioramento della qualità del personale attraverso la formazione o nuove assunzioni e il cambiamento dell’organizzazione interna all’impresa. La scelta ad indirizzarsi principalmente verso questi due ambiti di sviluppo da evidenza di come le donne, più degli uomini, vogliano ripartire e recuperare il terreno perso partendo in primis dalle persone e non dall’integrare modifiche che riguardano prettamente l’organizzazione del business dell’azienda intervenendo su produzione, canali di vendita o clienti. La maggior fatica e il grado sempre più elevato di complessità che caratterizza il contesto in cui le imprese operano fa si che siano proprio le imprenditrici quelle per cui si rileva una quota maggiore di incerte rispetto alla capacità di recuperare quanto perso a causa della volatilità odierna e futura che caratterizza, e caratterizzerà in futuro, il mercato (65,1%>58,7% totale). Mentre la quota di coloro che hanno già recuperato quanto perso si attesta al 16,5% e quella di coloro che pensano di essere in grado di recuperare i livelli pre crisi di fatturato entro la fine dell’anno in corso si attesta al 14,9%. Seppur molto incerte, le donne che gestiscono imprese artigiane, interrogate sulla volontà di voler investire nel 2022 rispondono in modo affermativo nel 65,7% dei casi (> 62,9% del totale). Come per le azioni di sviluppo anche rispetto alle aree di investimento si osserva una predisposizione maggiore della platea femminile a voler puntare su capitale umano e formazione.
“L’analisi, inoltre, dimostra come tra i tanti aspetti su cui sia necessario subito lavorare, ve ne sia uno particolarmente importante: quello dell’offerta di servizi nido – commenta la Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – asili nido e partecipazione delle donne al mondo del lavoro sono, infatti, temi strettamente legati. Aumentare l’occupazione femminile era l’intento esplicito degli obiettivi di Barcellona, stabiliti dall’Ue più di un decennio fa, e va di pari passo con l’obiettivo di offrire una assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini tra i 3 e i 6 anni e per almeno il 33% dei bambini con meno di 3 anni. A 12 anni dalla scadenza di quegli obiettivi, come Italia e come Sardegna, siamo ancora troppo lontani”.
I dati dicono come nel nostro Paese i posti autorizzati per 100 bambini di 0–2 anni siano 26,9, ancora al di sotto della soglia del 33% individuata dall’UE.
Risulta, quindi, evidente la stretta correlazione tra partecipazione delle donne al mercato del lavoro ed estensione dei servizi per la prima infanzia se si confronta l’indicatore nazionale di presa in carico degli utenti dei servizi per la prima infanzia ed il tasso di occupazione femminile che crescono di pari passo.
“Se pensiamo che ancora nel 2020 circa 16% delle famiglie sceglie di non mandare i propri figli all’asilo nido per motivi di costo, ci far rendere conto di come la donna poi debba scegliere la famiglia al posto del lavoro – continua la Presidente – per questo come Confartigianato, a livello nazionale, stiamo portando avanti la richiesta dell’aumento dei contributi concessi ai servizi per la prima infanzia”.
Oltre al costo degli asili e dei servizi per la prima infanzia, un’altra problematica è quella relativa alla rigidità degli orari. “E’ fondamentale la flessibilità dei servizi per infanzia e ragazzi soprattutto per quelle famiglie in cui i genitori si trovano a dover lavorare il sabato o in fasce serali o preserali – sottolinea la Lai – su questo fronte buone notizie potrebbero arrivare dal PNRR che, per l’imprenditoria femminile e potenziamento di infrastrutture sociali e scuola per bambini under 6 anni, grazie ad uno stanziamento di 3,6 miliardi di euro, dovrebbe rafforzare gli strumenti del Family Act che aiuta le famiglie anche sostenendo le spese per crescita, mantenimento e educazione dei figli, incentivando la conciliazione vita-lavoro ed il rientro a lavoro delle madri dopo la maternità”.
Sempre secondo l’analisi delle risposte del sondaggio, continuano a persistere le medesime disparità tra uomo e donna. Le donne, nonostante abbiano migliori risultati sul fronte istruzione e formazione, scontano gap rilevanti a loro sfavore sul fronte lavoro, conciliazione e benessere soggettivo. Difatti, la quota di donne imprenditrici con almeno un diploma si attesta al 69% superando di 6,8 punti quella rilevata per gli uomini (62,2%), quella di donne laureate si attesta al 38,3% superando di 10,8 punti quella rilevata per gli uomini (27,5%), quella di donne che hanno effettuato il passaggio all’università si attesta al 61,4% superando di 11,2 punti quella rilevata per gli uomini (50,2%). Mentre la quota di coloro che partecipano alla formazione continua eguaglia quella degli uomini (pari al 7,9% in entrambi i casi). C’è però un ambito dell’istruzione in cui le donne scontano un gap a loro sfavore rispetto agli uomini, quello del digitale: per quota di donne con competenze digitali elevate (per le donne si registra una quota del 23,4% inferiore di 6,3 punti a quella degli uomini di 29,7%) e per quota di laureate (per le donne si rileva una quota del 10,3% inferiore 7,5 punti quella degli uomini di 17,8%). La platea femminile inoltre sconta condizioni peggiori degli uomini in tutti gli ambiti del lavoro e conciliazione con quote superiore a quelle dei colleghi maschi di 4,4 punti per il tasso di mancata partecipazione al lavoro (pari al 12,9% per le donne> dell’8,5% degli uomini), di 3,8 punti per dipendenti con bassa paga (pari all’8,9% per le donne > del 5,1% degli uomini), di 1,4 punti per occupati sovra istruiti (pari al 22,8% per le donne >del 21,4% degli uomini) e di 12,2 punti per part time involontario (pari al 16,7% per le donne> del 4,5% degli uomini). Tutto ciò comporta una disparità uomo donna anche sul fronte della soddisfazione per il proprio tempo libero: le donne che esprimono livelli elevati di soddisfazione sono il 69,8% quota inferiore di 3,3 punti rispetto a quella rilevata per gli uomini (73,1%). Persiste inoltre una disparità del 31,1% tra la retribuzione media percepita dalle dipendenti donne rispetto a quella percepita dagli uomini.
Da qui la domanda: come ridurre la disparità a favore dei contesti a misura di donna?
I margini di miglioramento su cui poter intervenire, stando ai numeri descritti fino ad ora, sono diversi. Sempre facendo riferimento ai dati e ai risultati ottenuti dall’analisi si evince l’importanza e la centralità dell’istruzione e dei servizi di assistenza negli ambiti della conciliazione (come detto, i servizi per l’infanzia, asili nido) per spingere una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Difatti si osservano tassi di occupazione femminili più elevati proprio nelle realtà in cui c’è una maggiore diffusione di bambini che frequentano gli asili nido e di donne che hanno titoli di studio elevati (laurea e post-laurea).
“L’augurio che possiamo, e dobbiamo, farci – chiude la Presidente – è che ogni donna possa, in tempi brevi, a conquistare ciò che per se è più caro, come: autonomia, rispetto, maternità retribuita per indipendenti, cambiamento culturale, fiducia, considerazione, condivisione del tempo di cura, libertà di scelta, non dover scegliere tra lavoro e famiglia, tutele, opportunità, sicurezza, parità di competenze, più tempo, nessuna rinuncia e tranquillità”.