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“Intrecci”, la mostra monografica di Giosetta Fioroni a Bari

Per la prima volta nel capoluogo pugliese, Contemporanea Galleria D’Arte è lieta di presentare Intrecci, la mostra monografica di Giosetta Fioroni, protagonista in rosa della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo. Dall’1 al 31 maggio 2022 in mostra alla Contemporanea Galleria D’Arte, di Giuseppe Benvenuto, a Bari, in via Nicolò Piccinni, 226, con ingresso gratuito, dal martedì alla domenica ore 16:00 alle 20:00. La mostra è curata da Gemma Gulisano.

L’esposizione organizzata dal gallerista Giuseppe Benvenuto in collaborazione con l’Archivio Giosetta Fioroni e la curatela di Gemma Gulisano, intende offrire al pubblico barese un viaggio che ripercorre l’intensa produzione dell’artista dai suoi esordi, avvenuti nella Parigi di fine anni Cinquanta e nella Roma dei primissimi Sessanta, ad oggi.

La mostra verrà inaugurata domenica 1 maggio alle ore 18.30 e vedrà la partecipazione dell’artista.

Interverranno:

Ines Pierucci – Assessore alla cultura del Comune di Bari
Micaela Paparella – Consigliera delegata alla cultura del Comune di Bari
Gianfranco Terzo – Assessore del Comune di Sannicandro (Bari)
Pietro di Terlizzi – Direttore dell’Accademia di Belle arti di Foggia
Michele Vaira – Avvocato
Gemma Gulisano – Storica dell’arte, curatore dell’Archivio Giosetta Fioroni
Giuseppe Benvenuto – Gallerista

Protagonista in rosa della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo – insieme a Mario Schifano, Franco Angeli, Tano Festa e Renato Mambor – Giosetta Fioroni nasce a Roma nel 1932 e cresce giocando con la creta del padre scultore e i teatrini di marionette della madre.

«Gli esordi degli anni Cinquanta legati al clima informale, che nei lavori di Giosetta Fioroni rivelano simpatia per i pennelli di Afro, Burri e del maestro Toti Scialoja, a Parigi cedono spazio all’incursione di cifre, numeri e simboli (Villa 3 1960).

Appare quasi subito un cuore, una lampadina, una sedia, una scarpa; oggetti del quotidiano che come i segni indicali nei lavori di Duchamp (Tu’m 1918), rappresentano le tracce di una realtà che invade lo spazio dell’arte.

I frammenti del quotidiano vengono così catalogati come reperti di un vissuto o come tracce di un sogno che si impastano al colore e si confondono tra le sagome di fanciulla, stelle, cuori, arabeschi e scritte tracciate sulla superficie (Fanciulla 2020), segni che danno origine a un nuovo racconto imbevuto di memorie, sogni e sentimenti (Teatrino 2014).

Ma anche quando la superficie si complica e si stratifica, traspare la leggerezza che caratterizza la poetica di Fioroni. Così Goffredo Parise descriveva quell’atteggiamento sempre trasognante che affiora dai soggetti, dalle composizioni quasi aleatorie, dalle pennellate libere e dalle vivaci cromie di queste opere (Venere 2014).»

La mostra si propone di produrre una narrazione dell’esperienza artistica di Fioroni, ripercorrendo i momenti più salienti della propria attività; tappe dell’intensa produzione dell’artista presentate non secondo un ordine narrativo rigidamente cronologico, ma circolare, così da risultare una narrazione più vicina all’intreccio che non alla fabula.

«Tra questi intrecci si snoda il tema del volto femminile (Volto 2020), immagine iconica della produzione degli anni Sessanta e Settanta che caratterizza il celebre ciclo degli argenti (Bambino solo 1970, Costume da bagno 1962). (…)

Oggi i simboli noti di Fioroni sono echi di un tempo lontano colto nella sua dissolvenza ma mai perduto, simboli che si intrecciano a vecchie visioni e alle nuove.»

Informazioni
Contemporanea Galleria D’Arte
Via Nicolò Piccinni, 226 – Bari
Giuseppe Benvenuto
artebenvenuto@gmail.com

Intrecci

di Gemma Gulisano (curatrice Archivio Giosetta Fioroni)

«Io ho avuto dal destino un incantevole dono. Un mestiere che si fa con le mani, con la mente e con il cuore. »

Giosetta Fioroni

Gli esordi degli anni Cinquanta legati al clima informale, che nei lavori di Giosetta Fioroni rivelano simpatia per i pennelli di Afro, Burri e del maestro Toti Scialoja, a Parigi cedono spazio all’incursione di cifre, numeri e simboli (Villa 3 1960).

Appare quasi subito un cuore, una lampadina, una sedia, una scarpa; oggetti del quotidiano che come i segni indicali nei lavori di Duchamp (Tu’m 1918), rappresentano le tracce di una realtà che invade lo spazio dell’arte.

Dai primi collage di Picasso e Braque e la resa tridimensionale degli stessi nei rilievi dell’anno successivo, agli abbinamenti apparentemente incongrui nelle composizioni allegoriche di De Chirico, l’oggetto quotidiano diventa arte: i ready-made, l’esperienza Dada guidata da Tristan Tzara (che Fioroni conosce a Parigi nel lontano 1958), i “ritagli” di Eduardo Paolozzi e Richard Hamilton, i combine paintings di Rauschenberg, e ancora, le immagini pop prodotte da Warhol, Wesselmann e Lichtenstein.

Fioroni non è immune al diffuso fascino per l’oggetto comune che serpeggia nella sua instancabile ricerca sia con evidenza materiale, incollando frammenti di realtà al supporto come un bricoler, che in forma segnica (Campo de L’Anzolo Rafael 2013).

I frammenti del quotidiano vengono così catalogati come reperti di un vissuto o come tracce di un sogno che si impastano al colore e si confondono tra le sagome di fanciulla, stelle, cuori, arabeschi e scritte tracciate sulla superficie (Fanciulla 2020), segni che danno origine a un nuovo racconto imbevuto di memorie, sogni e sentimenti (Teatrino 2014).

Ma anche quando la superficie si complica e si stratifica, traspare la leggerezza che caratterizza la poetica di Fioroni: la leggerezza di una fanciulla che cammina in punta di piedi e saltella per recuperare un infanzia perduta. Così Goffredo Parise descriveva quell’atteggiamento sempre trasognante che affiora dai soggetti, dalle composizioni quasi aleatorie, dalle pennellate libere e dalle vivaci cromie di queste opere (Venere 2014).

Nei microcosmi creati dell’artista, le singole entità che li compongono (piume, foglie, posate, casette, ritagli vari) rinunciano al tradizionale significato per dare vita a una dimensione fiabesca che scaturisce da una visione scevra da sovrastrutture; fratture di realtà assimilabili alle visioni oniriche dipinte da Chagall o alle raffinate boxes di Joseph Cornell, nelle quali la poetica dell’ojet trouve si arricchisce di suggestioni intimistiche.

La fiaba è l’ingrediente segreto nel calderone di Fioroni.

La scoperta della fiaba risale agli anni Settanta con la lettura dei Racconti di fate e La fiaba di magia di Vladimir Jakovlevič Propp e scatena l’immaginario visivo dell’artista determinando la nascita degli Spiriti di campagna: coboldi, orzimbi, spiritelli silvani, elfi.

Concepiti nel passato, questi temi riappaiono nella produzione più recente e si intrecciano a un linguaggio più maturo che per certi versi enfatizza il carattere pop di Fioroni, per altri mantiene una singolare forza espressiva derivante da una dimensione intima dell’artista (Fata volante 2022).

Tra questi intrecci si snoda anche il tema del volto femminile (Volto 2020), immagine iconica della produzione degli anni Sessanta e Settanta che caratterizza il celebre ciclo degli argenti (Bambino solo 1970). Fioroni celebra una femminilità non autobiografica ma estesa; attimi resi eterni in una posa di vernice alluminio, immagini rarefatte (Costume da bagno 1962).

«Immagini toccate di argento che affiorano con la leggerezza di un sospiro», come le ha definite Maurizio Calvesi.

I volti rubati dalle riviste glamour, dal cinema e dagli scatti dell’artista, perdono ogni carattere di riconoscibilità, si riducono a contorni, si trasformano in sagome; volti che potrebbero appartenere a chiunque e a nessuno al tempo stesso.

Oggi i simboli noti di Fioroni sono echi di un tempo lontano colto nella sua dissolvenza ma mai perduto,

immagini che si intrecciano a vecchie visioni e alle nuove.

Con la mano sinistra tratteggiata dal tempo, Giosetta lascia scorrere le sagome sul rettangolo della tela, con la destra agita la bomboletta e ne trascrive i contorni. Lo sguardo entusiasta di una bambina al suo primo lavoro tradisce la gestualità controllata di una donna che concepisce quelle opere da tutta una vita.

Poi si allontana, mi guarda dicendo: ho fatto una cosa che secondo me è abbastanza speciale.

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Nico Baratta

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