Gli inceneritori e i termovalorizzatori non sono considerati una soluzione ecologica al problema rifiuti in Italia da chi chiede una svolta green. Al punto da diventare uno dei temi su cui il Governo Draghi è caduto. Quali sono le ragioni in campo?
Che un Governo possa cadere per colpa della prevista costruzione di un impianto termovalorizzazione è singolare, ma probabilmente fotografa bene lo scontro tra le diverse visioni del futuro che convivono in Italia.
Da una parte i “pragmatici”, che puntano a soluzioni immediate a problemi annosi. Dall’altra parte i “futuristi”, che non sono artisti ma che guardano alle soluzioni che possano avvicinare al net zero (emissioni zero) che tanto serve all’uomo per poter continuare a vivere felicemente sulla Terra anche in futuro.
Quali sono le ragioni in campo? Proviamo a capirlo.
Una questione di termini: termovalorizzatori, non inceneritori
Nel 2018 l’Accademia della Crusca era intervenuta nel dibattito sugli inceneritori per evidenziare una decisa differenza linguistica: inceneritori e termovalorizzatori, sebbene entrambi brucino rifiuti urbani e industriali, non sono la stessa cosa.
Gli inceneritori si limitano al bruciare, mentre i termovalorizzatori (termine da molti visto come un trucco per imbonire questi impianti agli occhi dell’opinione pubblica) bruciano e dal processo di combustione ricavano energia elettrica (come fanno le centrali a carbone) e anche acqua calda per i termosifoni dei quartieri circostanti.
Producono CO2, ma non sembrano rischiosi per la salute
Un dato è incontrovertibile: bruciando rifiuti urbani (tante plastiche) e industriali, gli inceneritori/termovalorizzatori producono CO2, andando ad aggravare il già gravissimo bilancio delle emissioni annuali sul pianeta. Diminuire le emissioni di anidride carbonica è il primo tra gli obiettivi per un futuro sostenibile della Terra, e aggiungere un’altra fonte di questa molecola inquinante non è certo positivo.
Tuttavia, le misurazioni effettuate agli scarichi (le “ciminiere”) degli impianti più moderni in giro per l’Europa hanno evidenziato che le emissioni di particelle potenzialmente dannose per la salute dell’uomo siano ben al di sotto dei limiti attualmente definiti dalle leggi europee. Si veda lo studio sull’impianto del Frullo di Bologna.
Questi impianti di ultima generazione hanno complessi sistemi di filtraggio delle ceneri e dei fumi, che permettono di trattenere gli inquinanti più nocivi, in particolare le diossine, quasi scomparse.
Non tutto è oro quello che si scarica: gli impatti sull’ambiente degli inceneritori/termovalorizzatori
Le associazioni ambientaliste hanno però evidenziato delle criticità a livello di accumulo di sostanze inquinanti sugli esseri viventi e sulla natura circostante gli inceneritori e i termovalorizzatori. Sebbene studi come quello dell’Imperial College di Londra non abbiano evidenziato aumenti di patologie nelle popolazioni insediate nei pressi dei moderni impianti di termovalorizzazione, altri studi hanno evidenziato valori fuori scala di particelle inquinanti sulla vegetazione nelle vicinanze di questi impianti. Questi valori sarebbero oltre i limiti di sicurezza alimentare definiti dall’UE.
Un altro aspetto da considerare è che la combustione dei rifiuti urbani e industriali genera a sua volta, oltre alle ceneri da filtrare e poi liberare in atmosfera, anche ulteriori rifiuti solidi, i “rosticci”. Questi, non considerati inquinanti, possono essere conferiti in discarica o trattati per diventare utili a creare terrapieni, massicciate o opere simili.
Quale soluzione?
Quel che è chiaro è che chi guarda all’oggi vede città come Roma sommerse dai rifiuti, mal gestiti e ammassati in discariche sempre più sature. La soluzione più immediata a questa criticità è sicuramente la costruzione di inceneritori/termovalorizzatori di ultima generazione.
Si tenga conto che la discariche stesse, con la decomposizione dei rifiuti, portano ad aumentare i gas serra in atmosfera (in Italia, sono fonte del 3% delle emissioni annuali). C’è anche però chi fa notare che questi impianti producono tra 650 e 800 grammi di CO2 al kWh, a fronte dei 250 di media della produzione energetica europea.
Forse, in conclusione, queste tecnologie si dovrebbero considerare nelle aree più critiche e in crisi a livello di rifiuti, impegnandosi a implementare soluzioni completamente green nelle aree meno sotto pressione.