Caso-Lukaku: nulla di nuovo, se ne è solo parlato

Da settimane tiene banco il caso-Lukaku: una eco internazionale che ha smosso le acque anche in Italia, ma una vera lotta al razzismo non pare all’orizzonte.
Dal 95° minuto di Juve-Inter, semifinale di andata della Coppa Italia di calcio 2022-23, nel nostro Paese si è riacceso un dibattito sempre latente, e che di tanto in tanto riaffiora per poi essere di nuovo messo a tacere: quello sul razzismo (nella società in generale ma soprattutto nel calcio). Gli ululati e gli insulti razzisti ricevuti da Romelu Lukaku da parte dei tifosi juventini seduti nella curva sud dell’Allianz Stadium hanno avuto un’eco internazionale: ciò ha riaperto un vaso di Pandora, portando di nuovo in superficie l’arretratezza dei protocolli italiani di lotta alle discriminazioni razziali rispetto al resto del mondo.
Ma in Italia non vi è grande sensibilità al tema, non vi sono segni che a questo clamore possa seguire un vero progresso a riguardo.
I fatti dello Stadium: confusione e malafede
Il 4 aprile Lukaku aveva fatto il suo ingresso in campo al minuto 68: come spesso accade in questa seconda parte di stagione, il colosso belga (ancora lontano dalla sua massima forma fisica) è utilizzato da Inzaghi nei finali di partita, con gli avversari più stanchi e vulnerabili alla sua forza ed esplosività. Dopo dieci minuti, il numero 90 si era reso protagonista di una brutta entrata sullo juventino Gatti: questo sarebbe stato il casus belli tra Lukaku e la curva juventina.
Ma poi tutto era precipitato negli ultimi minuti di partita: l’Inter aveva trovato un rigore molto casuale per un ingenuo fallo di mano in area di Bremer. Agli undici metri di era presentato proprio Lukaku, tiratore quasi infallibile. In quel momento, mentre il belga si concentrava poco prima di calciare il rigore, una parte della Tribuna Sud dell’Allianz lo aveva inondato di ululati e insulti razzisti.
Ululati comprensibili e reazione inaccettabile?
Secondo il referto degli ispettori federali presenti sul campo, gli ululati “venivano effettuati dalla maggioranza dei 5.034 spettatori” presenti in curva fin dal fallo da giallo dell’attaccante Nerarruzzo, accaduto al minuto 80. Quindi Lukaku aveva reagito a tali (reiterati) insulti solo dopo il gol su rigore, peraltro solo con un’esultanza già utilizzata giorni prima con la sua nazionale, e poi gridando ai razzisti di zittirsi. Una notevole dimostrazione di autocontrollo di fronte a una simile umiliazione: di certo non da punire.
L’arbitro Massa, a differenza degli ispettori, non aveva quindi sentito nulla in quei 15 minuti e anzi dopo le proteste juventine aveva deciso di comminare il secondo cartellino giallo al belga per “provocazione nei confronti dei tifosi”. Ha stupito anche che la richiesta di ammonizione sia arrivata da giocatori a loro volta di pelle scura come il capitano Danilo o Cuadrado.
La relatività della vittima
In tutto ciò, se non si tiene conto dell’eco internazionale avuta dalla vicenda, in Italia tra i tifosi (juventini e non solo) è quasi passato il messaggio che la reazione di Lukaku sia stata spropositata e quindi il giallo meritato. Il più classico dei “te la sei cercata”, fomentato dall’acerrima rivalità tra le tifoserie. Ancora una volta, la lotta al razzismo è stata trattata come fosse una semplice arma utile a danneggiare l’avversario, non come un impegno comune per debellare questa piaga sociale.
Così, se all’estero la condanna è stata unanime (facendoci di nuovo conoscere come un Paese razzista), qui in Italia si sono create le fazioni dei pro e contro-Lukaku, soprattutto dopo l’iniziale squalifica della curva juventina. Tutto ciò perché altri recenti episodi di razzismo non erano stati ugualmente attenzionati, portando quindi alle accuse di sabotaggio verso la Juventus.
Gravina grazia Lukaku, ma ormai è tardi
Sabato 22 aprile questa triste vicenda ha visto una decisiva evoluzione: dopo il respingimento del ricorso presentato dall’Inter per revocare la squalifica a Lukaku, ci ha pensato il presidente FIGC Gabriele Gravina a risolvere con la grazia all’attaccante belga. Un’azione che ha evitato che l’unica punita fosse proprio la vittima dato che la curva juventina, inizialmente squalificata, aveva visto annullare il procedimento nei suoi confronti.
Tuttavia, le non-decisioni prese e l’aver fatto passare tutto questo tempo hanno reso la questione quasi opinabile, con le fazioni degli innocentisti (verso i razzisti) sempre più convinte che Lukaku sia la parte nel torto.
Non un episodio isolato
Ciò che ai tifosi juventini (ma non solo) ha reso ancora più arduo accettare la gravità dei fatti accaduti all’Allianz Stadium sono stati altri recenti episodi di razzismo, di poco precedenti alla partita del 4 aprile. Lo juventino Kostic era stato mira di insulti razzisti (“zingaro”) a La Spezia lo scorso febbraio e poi, anche se non esistono segnalazioni ufficiali a riguardo, proprio in Inter-Juve di Serie A del 19 marzo (insieme con Vlahovic). Il 6 novembre scorso invece la curva della Lazio aveva intonato cori antisemiti durante il Derby della Capitale.
Ma i più clamorosi erano stati i cori razzisti (ancora una volta “zingaro”) che la curva sud romanista aveva rivolto in massa a Dejan Stankovic durante Roma-Sampdoria del 2 aprile. Questi episodi non hanno avuto eco internazionale, e come quasi sempre accade in Italia sono stati gestiti con leggerezza: la curva spezzina non è stata neanche indagata, quella della Lazio ha la pena sospesa e rimarrà sotto controllo nei prossimi 12 mesi, quella della Roma non ha ricevuto punizioni (la società invece è stata condannata a pagare una multa da 8mila euro).
Contro il razzismo, ma solo se lo scoprono all’estero
Per il numero di episodi e la coerenza delle (non) decisioni prese dalle autorità federali, pare evidente che in Italia il razzismo negli stadi non si voglia combattere. Si tratterebbe di una lunga battaglia culturale e farlo significherebbe attaccare in continuazione buona parte di quei tifosi così fedeli e sempre presenti, vera linfa vitale per le squadre e il claudicante movimento calcistico italiano. Meglio lasciar perdere.
Quello che è successo con Lukaku è che semplicemente la vittima è stata un calciatore che ha fama mondiale: il belga è gestito da un’agenzia di management molto importante (la Roc Nation di Jay-Z) e ha trascorso molti anni in Inghilterra, che come gli USA è molto attiva nella lotta al razzismo. Questo ha reso nudo il Re Calcio, che nonostante la grande stagione delle squadre nelle coppe europee si è fatto nuovamente la nomea da aggregatore di razzisti.
L’unica differenza rispetto alle altre decisioni è che in qualche modo ci si è mossi per mettere una pezza e difendere la vittima di razzismo, andando oltre gli sbagli di chi ha arbitrato o deciso in seguito. È di oggi la notizia del daspo nei confronti di 171 tifosi juventini individuati dalla Digos come responsabili dei cori verso Lukaku, ma pare uno sforzo destinato a rimanere isolato.
Gli episodi degli ultimi mesi non sono affatto eccezionali, ma semplicemente hanno avuto un’eco che li ha resi difficili da ignorare.