Deciderà sul suo “fine vita”. Accade a Treviso
Clarice Di Tullio, Giudice di Treviso, ha firmato un decreto che concede a una donna di 48 anni, colpita da una gravissima malattia degenerativa, la possibilita’ di rifiutare le cure. La donna, si apprende aveva chiesto la sospensione della terapia appena, qualche mese fa, le sue condizioni fisiologiche si sono aggravate. La paziente aveva affidato le sue ultime volonta’ al marito che, sulla base del provvedimento, e’ stato nominato amministratore di sostegno con la facolta’ di far rispettare la scelta della moglie, ovvero il rifiuto di trattamenti medici cruciali. A gennaio scorso, il giudice aveva deciso e comunicato all’ospedale di Treviso le volontà della paziente, la donna era stata ricoverata in gravi condizioni all’ospedale di Treviso. Nonostante il quadro clinico stesse precipitando, la donna aveva rifiutato sia la trasfusione, e’ testimone di Geova, sia la tracheostomia, cioe’ la tracheotomia permanente, che le avrebbe permesso di limitare il deficit respiratorio. Nonostante la donna si sia poi ripresa, tornata a casa, ha deciso di continuare ad affidare la sua “vita” al marito e, in base a quanto riporta ADNK, così avrebbe dichiarato: «Non voglio che la mia vita venga prolungata se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza». Intanto qualche giorno fa per la seconda volta il giudice tutelare Di Tullio le ha dato ragione. Pertanto ha disposto che la paziente, attraverso il marito nominato amministratore di sostegno, possa rifiutare le cure salva-vita. Il decreto finale è complesso come difficile è il quadro clinico della donna. Ma una cosa è certa sarà lei, la donna a decidere “proprio fine vita”, oppure il marito se lei non fosse nelle condizioni di farlo. Il giudice ha argomentato la propria decisione basandosi sul codice deontologico dei medici e su norme sovranazionali come quelle del Consiglio d’Europa relative ai diritti dell’uomo e alla biomedicina, laddove stabiliscono che nessun intervento nel campo della salute puo’ essere effettuato qualora il paziente non abbia espresso il proprio consenso libero e informato. Applicando tali principi, anche la Cassazione ha piu’ volte ribadito che il consenso del paziente costituisce presupposto fondamentale della liceita’ dell’intervento medico il quale, non rispettandolo, commette dunque un’indebita intromissione nella sfera personale. L’orientamento europeo e le conclusioni della Cassazione, su simili basi, sono andate in una sola direzione: al paziente va riconosciuto anche il diritto di non curarsi, pur se a rischio della sua stessa vita. Il giudice Di Tullio le ha recepite, stabilendo cosi’ che la nomina di un amministratore di sostegno sia lo strumento processuale adatto ad assicurare il rispetto delle scelte individuali.